L'Europa e le pensioni di
Giuliano Cazzola
Mentre in Italia la riforma delle pensioni (sì, proprio quella “leggera” contenuta in un disegno di legge presentato dal Governo) è finita in un cassetto, pochi sanno che il tema della previdenza è al centro del dibattito europeo. I Governi
nazionali sono tenuti a presentare dei rapporti strategici
alla Commissione entro il mese di settembre, affinché possa
essere predisposto nella primavera del 2003 (praticamente a un
anno di distanza dal vertice di Barcellona che si è occupato
pure della questione pensioni) una rapporto unitario
riguardante i 15 Paesi dell’Unione. Del resto, che il problema
pensioni angosci l’intero Vecchio Continente (mai aggettivo fu
tanto appropriato) non è certo un segreto. Basti riflettere un
attimo sui seguenti dati Eurostat, riguardanti gli andamenti
demografici dei prossimi cinquant’anni. a)
La
dimensione totale della popolazione dei 15 Paesi membri
scenderà da 376 milioni a 364 milioni; b)
la
popolazione di età minore (fino a 14 anni) diminuirà da 69
milioni a 58 milioni; c)
la
popolazione in età di lavoro (15-64 anni) si ridurrà del 20%
(passando da 246 milioni a 203 milioni); d)
il
numero degli anziani (con 65 e più anni) salirà invece da 61
milioni a 103 milioni, con un incremento particolarmente
rilevante degli ultraottantenni che triplicheranno nel periodo
considerato. L’Italia
presenta, in tale contesto, performance ancora più a rischio
(si pensi che il tasso di dipendenza degli anziani passerà dal
27% del 2000 al 61% del 2050). L’Unione europea è abituata a fare le cose sul serio, senza lasciare margini all’improvvisazione, prendendosi tutto il tempo che occorre. Così, i singoli Paesi non sono stati liberi di compilare i loro rapporti secondo l’estro nazionale. La Commissione, di intesa con la Commissione delle politiche sociali (in cui siedono i rappresentanti dei Governi), ha elaborato, attraverso molti mesi di lavoro di gruppi e sottogruppi, degli obiettivi e degli indicatori statistici a cui i Paesi devono attenersi nella compilazione dei loro rapporti. Questo lavoro è stato a lungo discusso, non senza problemi, ostacoli e reticenze (i Governi europei preferirebbero attaccare l’Iraq piuttosto che mettere mano alle pensioni). Gli uffici della Commissione hanno voluto recarsi in tutte le nazioni per avere specifici incontri sui criteri da seguire nella redazione dei rapporti. Ormai si è arrivati alla fase conclusiva; poi sarà la volta dell’assemblaggio e della presentazione ai capi di Stato e di Governo al vertice della primavera del 2003. Che l’operazione sia controversa (per rendersene conto è sufficiente assistere ad una riunione della Commissione delle politiche sociali) lo si comprende anche dalla lettura degli obiettivi (sono una decina) indicati quali cardini dell’iniziativa dei Governi in tema di pensioni. Ne esce una specie di gincana, nella quale le esigenze di maggior rigore e di avvio di un serio risanamento si congiungono a propensioni di ulteriori miglioramenti dei sistemi pensionistici. Prendiamo, ad esempio, gli indicatori della parte sulla adeguatezza delle pensioni. Gli Stati membri – si dice - dovranno salvaguardare la capacità dei regimi pensionistici di realizzare alcuni obiettivi sociali come: a) far sì che la terza età non sia esposta al rischio di povertà e possa godere di un livello di vita decoroso; che possa partecipare al benessere economico del suo Paese e partecipare attivamente alla vita pubblica, sociale e culturale; b) consentire a tutti l’accesso a meccanismi di pensione adeguati, sai pubblici che privati, in base ai quali essi possono acquisire diritti a pensione che diano loro i mezzi per mantenere, in limiti ragionevoli, il loro livello di vita, anche da pensionati. Buoni propositi, non c’è dubbio. Anche
nel capitolo riguardante la sostenibilità dei regimi
pensionistici si fa leva sull’obiettivo di raggiungere un
elevato livello di occupazione, grazie ad ampie riforme del
mercato del lavoro, in grado di evitare che i lavoratori non
siano incoraggiati ad andare in pensione anticipata. La
questione dell’età effettiva di pensionamento, anche rispetto
alle esigenze del mercato del lavoro, è affrontata in modo
felpato, ma viene posta chiaramente. E ci tocca da vicino,
soprattutto se si considera la pochezza dei tassi di
occupazione dei lavoratori anziani in Italia.
Tassi
di occupazione dei lavoratori anziani (anno
2001)
Fonte
- Istat Come si vede, il dato complessivo (per l’intera fascia 55-64 anni) è pari al 28%, derivante dal crollo dopo i 59 anni di età. Un limite certamente troppo basso, considerando gli andamenti demografici attesi. |