Analisi avanzata

 

Premessa

Questo lavoro non intende essere una replica delle informazioni che si possono trovare con facilità nei sempre più numerosi libri di analisi tecnica in circolazione alla cui proliferazione, purtroppo, non sempre corrisponde un reale salto di qualità dei contenuti.

D’altronde, le tecniche di lettura dell’andamento di un mercato o di un valore finanziario sono così tante (bar charts, candlestick, point and figure, Fibonacci, ecc.) che solo la personale esperienza dell’analista può portare a privilegiare quelle che, più delle altre, si addicono a uno specifico temperamento e a uno specifico modo di porsi nei confronti del rischio. E questa sensibilità non può essere acquisita con la semplice lettura di un lavoro altrui ma deve necessariamente passare attraverso un processo di crescita fondato su esperienza e, spesso, sofferenza personale.

Partendo, infatti, dal presupposto che questo vuole essere un lavoro di analisi tecnica avanzata, rivolto quindi a un pubblico che ha già dimestichezza con le tecniche di base, l’obiettivo è quello di evidenziare alcuni aspetti che, spesso, o vengono del tutto trascurati o, in alternativa, non vengono correttamente valutati nella loro funzionalità e nella loro efficacia.

 

Nulla di nuovo, quindi, ma solo un occhio diverso nei confronti di tecniche che taluni autori, interessati esclusivamente alla stesura di un libro, trovano più comodo ignorare o illustrare in termini piatti senza approfondirne la reale portata.

 

In relazione al citato obiettivo, non sarà una trattazione organica. Ogni capitolo farà storia a sé e, se riferimenti ci saranno tra un capitolo e l’altro, questi saranno del tutto casuali e non determinati da propedeuticità o susseguenza necessarie.

 

GRAFICI

 

Premessa

La rappresentazione grafica è il modo più ovvio e intuitivo di tradurre in forma immediatamente visibile e interpretabile l’andamento di una serie storica di quotazioni.

Esistono diversi tipi di grafici utilizzabili a tale scopo, ciascuno con caratteristiche e obiettivi specifici, ma quelli più diffusi sono i grafici a barre o bar charts.

 

Grafici a barre

I grafici a barre sono costituiti da una successione di barrette verticali con delle stanghette a destra di ciascuna e, eventualmente, anche a sinistra.

A ciascuna barra corrisponde una unità di rilevazione che può essere un anno, un mese, una settimana, un giorno, un’ora o anche meno.

L’altezza della barra rappresenta l’escursione che il bene quotato presenta nell’unità di osservazione, così che il valore minimo corrisponde all’estremo inferiore del segmento e il valore massimo corrisponde all’estremo superiore.

Il prezzo di chiusura viene evidenziato con una stanghetta orizzontale a destra della barra;  l’espressione “prezzo di chiusura”, tuttavia, è solo un concetto terminologico.

Infatti, in mercati azionari come il nostro, la stanghetta orizzontale corrisponde solitamente al prezzo ufficiale se il periodo di osservazione è giornaliero. Se la rilevazione è settimanale, mensile o annuale, per prezzo di chiusura si intende il prezzo ufficiale dell’ultimo giorno del periodo di rilevazione. Se la rilevazione è infragiornaliera, per prezzo di chiusura si intende quello dell’ultima rilevazione.

A sinistra del bar chart appare, talvolta, un’altra stanghetta orizzontale corrispondente al prezzo di apertura. Anche in questo caso, per osservazioni di estensione superiore a quella giornaliera, il prezzo adottato è quello di apertura del primo giorno del periodo, mentre, nel caso di rilevazione infragiornaliera, è quello della prima rilevazione.

Non essendoci regole fisse e immutabili, nulla impedisce all’analista di adottare convenzioni diverse.

 

Funzione

Dicevamo sopra che obiettivo dei grafici è quello di rendere visibile l’andamento di una serie storica di quotazioni. La percezione oggettiva dello svolgimento storico fornisce all’analista tutta una serie di informazioni che sicuramente sfuggirebbero all’osservazione arida di una tabella contenente le sole quotazioni di periodo. Queste informazioni sono essenzialmente di due tipi: tendenze e figure.

 

Tendenze

La tendenza o trend è la direzionalità assunta nel tempo da una serie di quotazioni. Può anche non essere ben definita, quando i prezzi si muovono lateralmente, e, in tal caso, si parla più propriamente di congestione.

Per una migliore evidenziazione, è prassi tracciare una retta ascendente, nel caso di tendenza al rialzo, passante per due punti di minimo relativo del grafico e una retta discendente, nel caso di tendenza al ribasso, passante per due punti di massimo relativo. Nei casi di congestione si può tracciare o solo una retta orizzontale passante per i minimi o anche una retta passante per i massimi in modo da formare un canale orizzontale.

L’analisi tecnica non è una scienza esatta; per questo risulta spesso conveniente usare il buon senso piuttosto che il rigore tecnico. Pertanto, se i punti di svolta sui quali si traccia la retta di  tendenza presentano delle escursioni violente dovute a momenti di panico o di esuberanza, è bene prendere a riferimento non gli effettivi estremi di svolta, dovuti solo a momenti di eccitazione, ma i punti che riflettono un più equilibrato e corrente comportamento.

Naturalmente, su uno stesso grafico possono esistere più trendlines in funzione dell’estensione temporale alla quale si vuole riferire la tendenza da osservare.

Così, ad esempio, su un grafico a barre giornaliere si possono cogliere i due punti di minimo relativo o i due punti di massimo relativo più evidenti per i quali passerà una trendline ascendente o discendente di lungo periodo. Allo stesso tempo si possono tracciare trendlines minori, orientate nella stessa direzione di quella principale o in direzione contraria, su punti di svolta di parti del grafico riferiti a periodi inferiori a quello precedente, al fine di rilevare delle micro-tendenze nell’ambito di quelle di estensione maggiore.

Ora, poiché il segnale di interruzione di una tendenza in atto è dato dalla perforazione della trendline, diventa fondamentale, per una consapevole scelta della tempestività della segnalazione, l’individuazione dei punti di svolta più opportuni sui quali costruire la retta. Al riguardo, più è lungo il periodo del quale si studia la tendenza, più ampie appaiono normalmente le oscillazioni sopra (trendline rialzista) o sotto (trendline ribassista) di essa. Di conseguenza, per quanto sia utile e necessario avere la rappresentazione  contemporanea degli andamenti di finestre temporali di diversa ampiezza, l’osservazione da privilegiare è quella della trendline più adeguata al tipo di operatività da mettere in atto: più è frequente tale operatività minore deve essere l’arco temporale sul quale costruirla. Tanto per fare un esempio sarebbe assurdo costruire una trendline rialzista sui due minimi relativi dell’ultimo anno e tentare di trarne segnali per una operatività giornaliera o quasi.

Fondamentale,   infine, appare l’osservazione del grado di inclinazione della trendline. Rette meno inclinate presentano di solito una maggiore stabilità; viceversa, rette fortemente inclinate sono maggiormente esposte al rischio di improvvisi e violenti rovesciamenti della tendenza.

 

Figure

E’ noto che particolari configurazioni di un grafico a barre sono state standardizzate dagli analisti così da formare dei patterns ai quali sono connessi specifici segnali previsivi.

Così, ad esempio, una formazione di “testa e spalle” fa presagire la fine di un trend rialzista e l’avvio di una inversione.

Scarso accento, tuttavia, viene solitamente posto sui rapporti esistenti tra figure e trendlines. Ad esempio, potrebbe essere che una trendline rialzista venga perforata molto tempo prima del completamento della citata figura. E, dal momento della perforazione a quello del completamento del testa e spalle, si potrebbero presentare delle circostanze che possono costituire specifiche opportunità di sfruttamento per alcuni e causa di errori operativi per altri.

Si può dire allora, per restare nell’esempio, che il segnale fornito dalla formazione sarà di tipo ribassista; a questo punto, però, le trendlines più veloci saranno già state perforate da tempo, mentre quelle più lente non lo saranno state ancora. Ecco quindi che un’operatività di tipo veloce non può attendere il completamento della figura mentre un’operatività più lenta potrebbe trovarne prematuro lo spunto previsivo.

Con ciò non vogliamo togliere valore alle informazioni fornite dalle figure ma solo far rilevare che la chiave previsiva di arresto della tendenza in corso o di inversione della stessa potrebbe essere ricercata nella perforazione della trendline.

L’avvio di una nuova tendenza, segnalato dal completamento della figura, può benissimo riferirsi a un arco temporale del tutto diverso da quello evidenziato dalla trendline.

Un esempio può chiarire il concetto: si supponga di operare solo per il lungo periodo e, quindi, di seguire i segnali ottenuti con una trendline molto solida passante per i minimi di oscillazioni molto ampie. In questa ottica, sarebbero del tutto irrilevanti le indicazioni fornite da una figura di testa e spalle formatasi al culmine di un movimento secondario dal momento che, fino alla perforazione della trendline, non verrebbe comunque compromesso il movimento principale.

Le considerazioni appena espresse possono essere estese, con gli opportuni adattamenti, a tutte le figure, siano esse di inversione che di consolidamento.

 

TENDENZA E CONGESTIONE

 

Premessa

Lo sviluppo di un ciclo completo di mercato passa attraverso una serie di fasi, rigorosamente classificate sotto il profilo teorico, che caratterizzano situazioni specifiche.

Si possono individuare:

L’identificazione delle varie fasi di mercato, interessante sotto il profilo teorico, lo è un po’ meno sotto l’aspetto pratico sia per la difficoltà, e spesso l’impossibilità, di determinare lo stato corrente prima che il successivo si sia chiaramente sviluppato e sia per l’impossibilità di prevederne in anticipo violenza e durata.

 

La classificazione, tuttavia, ci permette di individuare due ben distinte dinamiche di mercato:    

Anche in questo caso si tratta, purtroppo, di una distinzione che sposta i termini del problema ma non fornisce chiare indicazioni risolutive. E’ infatti necessario attendere che l’evoluzione abbia fatto gran parte del suo corso prima di poter correttamente classificarne lo stato.

Non si tratta, d’altronde, di pura questione terminologica dal momento che, a ciascuna delle due fasi, devono corrispondere ben precisi atteggiamenti operativi: nel caso di tendenza definita, cioè, si asseconda il mercato muovendosi in sintonia con la sua direzione; nel caso di congestione, invece, si tenta di cogliere minimi e massimi di movimenti minori operando, sostanzialmente, in controtendenza.

 

Tendenza

Abbiamo già fatto cenno alle tendenze nel capitolo relativo ai charts. Ci sembra opportuno, adesso, approfondirne alcuni aspetti.

Vengono solitamente individuati tre tipi di tendenza:

  1. primaria; di durata pluriennale, esprime la direzione di fondo del mercato;
  2. secondaria; esprime dei movimenti di durata inferiore a quella della tendenza primaria, nella stessa direzione o in direzione contraria; questi movimenti, in un grafico, si presentano come ampie oscillazioni al disopra o al disotto della trendline di lungo periodo;
  3. minore; si comporta nei confronti della tendenza secondaria così come quest’ultima si comporta nei confronti della primaria.

 

E’ evidente che la classificazione citata è solo una classificazione di larga massima e non esaurisce tutte le possibilità; è intuibile infatti che, nell’ambito di ciascuna tendenza,  è possibile individuare delle tendenze di livello immediatamente inferiore a partire dai lenti movimenti pluriennali e scendendo via via fino ai micromovimenti infragiornalieri: il fenomeno, quindi, ha proprietà frattali nel senso che presenta sempre le stesse caratteristiche ai vari livelli.

 

Scoperto questo, non è che abbiamo fatto notevoli passi avanti sotto il profilo pratico. Sappiamo già che, una volta definito il nostro atteggiamento operativo, il compito principale è quello di individuare il tipo di tendenza più coerente per lo sfruttamento dei movimenti di mercato tendendo presente che, più è lungo il periodo di riferimento della tendenza, maggiori sono le oscillazioni alle quali dovremo assistere senza intervenire. Fra l’altro, mentre è sufficiente che la quotazione violi di poco una brevissima trendline perché possa essere ipotizzata la fine della tendenza in atto, è necessario che una trendline di lungo periodo venga violata abbondantemente prima di giungere alle medesime conclusioni.

 

Da non sottovalutare, nelle nostre scelte, una considerazione estremamente importante: minore è la durata della tendenza presa in considerazione, maggiore è il rumore, cioè quella volatilità impressa al mercato da comportamenti estemporanei dettati da fattori del momento, quindi improvvisi ed imprevedibili.

Questo significa che l’atteggiamento verso il mercato non può rimanere sempre costante in quanto ogni tipo di operatività richiede delle tecniche specifiche: più si allunga il periodo di osservazione e più i sistemi da adottare saranno del tipo trend following. Al limite, anche una semplicissima operatività fondata sull’osservazione dell’incrocio tra prezzi e media mobile può risultare più che adeguata in un lungo periodo di tendenza definita; il ritardo delle segnalazioni connesso a tale sistema sarà più che compensato dall’utile prodotto dalla fase in cui resteremo nella direzione giusta del mercato.

Viceversa, un sistema trend following applicato a un brevissimo periodo di osservazione, caratterizzato da rumore piuttosto che da tendenza, non produrrebbe alcun profitto e dovrebbe essere invece sostituito da un sistema imperniato sulla volatilità, in grado quindi di cogliere le oscillazioni piuttosto che la direzione.

 

Congestione

Durante i periodi di congestione il mercato si muove lateralmente, oscillando tra minimi e massimi. Anche in questo caso, naturalmente, non si può prescindere dal fattore tempo. Una congestione di breve periodo, inserita in un trend secondario, non assume alcuna rilevanza per chi opera sul trend primario così come in una congestione rilevabile su un movimento pluriennale si possono individuare dei movimenti ascendenti e discendenti di periodo minore che rappresentano delle vere e proprie tendenze.

Comunque, una volta definito il periodo di osservazione, occorre attendere qualche tempo prima di verificare l’avvio di una fase di movimento laterale. A quel punto, a meno che non si decida di sfruttare le tendenze presenti nei movimenti oscillatori, si può anche optare per una operatività in controtendenza comprando sui minimi di ciascuna oscillazione e vendendo sui massimi, pronti a riparare all’errore non appena la quotazione dovesse perforare i livelli di supporto o di resistenza (breakout) segnalando la fine della congestione e l’avvio di una nuova fase di tendenza definita.

Non esistono tecniche affidabili per l’individuazione e lo sfruttamento di  fasi di congestione: in proposito sono stati ideati  e costruiti indicatori di vario tipo che, più che risolvere il problema, il più delle volte determinano ulteriore incertezza.

La soluzione migliore è probabilmente quella dell’osservazione del grafico accompagnata dall’utilizzo di oscillatori che misurano situazioni di ipercomprato e ipervenduto in prossimità di massimi e minimi e di indicatori di velocità che misurano il rallentamento del movimento in prossimità dei punti di svolta.

 

INDICATORI

 

Premessa

Come noto, gli indicatori sono degli algoritmi di calcolo, più o meno complessi, utilizzati per rilevare determinati aspetti dell’andamento di una successione di quotazioni: velocità della tendenza, forza della tendenza, esistenza di eccessi, volatilità e altro.

La “materia prima” utilizzata non può che essere sempre la stessa, quella disponibile: la serie storica delle quotazioni e, talvolta, i volumi; solo in alcuni casi, quando si vogliono rilevare informazioni sullo spessore del mercato nel suo insieme, si ricorre anche al numero dei titoli in rialzo e in ribasso e a quello dei titoli che toccano nuovi massimi o nuovi minimi.

Ora, fatti salvi questi ultimi casi, se la materia prima è sempre la stessa, anche le risultanze non possono che essere quasi sempre correlate fortemente, qualunque sia l’algoritmo di calcolo che si adotta: e la consapevolezza che gli indicatori non fanno altro che illuminare le diverse facce di uno stesso poliedro ha indotto gli  analisti a ricercare algoritmi sempre più complessi che, di fatto, nulla aggiungono all’armamentario disponibile se non il disorientamento e la confusione.

Infatti, il desiderio di differenziare gli strumenti di ricerca porta, quand’anche si riesca a ridurre la correlazione di fondo, a risultati che, anziché essere integrabili in una sintesi efficace, appaiono spesso discordanti e inconcludenti.

 

Caratteristiche

Alcuni programmi professionali di analisi tecnica includono decine e decine di indicatori, alcuni addirittura superano il centinaio, il cui unico scopo è sicuramente quello di rendere appetibile il programma agli occhi dell’utilizzatore che ritiene, così, di avere a disposizione una smisurata serie di possibilità alle quali attingere.

In effetti, già dopo le prime sperimentazioni, ci si rende conto che ciascun indicatore presenta percentuali di insuccesso tali da risultare inefficace nella maggior parte dei casi. E questo è dovuto essenzialmente a due fattori:

  1. incapacità di qualsiasi indicatore a rilevare correttamente e tempestivamente determinati movimenti di mercato;

  2. incapacità di qualsiasi indicatore a risultare adeguato a ogni fase di mercato.

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’alternanza di successi e insuccessi porta automaticamente a dubitare dell’efficacia dei segnali di volta in volta ricevuti e, di conseguenza, a giustificare quel tipo di interferenza “ragionata” dell’operatore che finisce per compromettere anche quei casi in cui le indicazioni dell’algoritmo potrebbero risultare corrette.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, invece, il successo, anche se parziale, dell’indicatore presuppone che l’operatore abbia fatto una preventiva e corretta analisi del mercato che lo abbia portato a identificare sia le caratteristiche del movimento sotto indagine (tendenza o congestione) che i tempi di sviluppo di tale movimento.

E questo è un altro dei grossi punti deboli degli indicatori.

Per ciascuno, infatti, la teoria propone dei parametri pressoché standard che, in quanto tali, non sono assolutamente in grado di stare dietro alle caratteristiche tipiche di ciascuna fase di mercato; e pretendere di ottenere risultanze attendibili da un indicatore che utilizza parametri non sintonizzati sulle caratteristiche del movimento corrente (velocità, volatilità, ecc.) appare eccessivo. Esistono, è vero, delle tecniche di ottimizzazione dei parametri, e cioè di adozione di quei parametri che si sono dimostrati più efficaci di altri quando provati sulla serie storica disponibile. Ma questi parametri ottimizzati, non solo non garantiscono un uguale successo in futuro, ma anzi, proprio perché forzati, in qualche misura, ad adattarsi alle caratteristiche della serie analizzata, possono addirittura presentare una minore flessibilità di quelli generici quando utilizzati nell’operatività corrente.

 

Utilizzo

E allora? Sono forse da rigettare gli indicatori esistenti e, con essi, tutti gli sforzi e tutta la letteratura in materia?

Niente affatto, anche se la tentazione di fare piazza pulita di certe ciarlatanerie è forte. Se ne possono però identificare alcuni, pochissimi, idonei a cogliere differenti aspetti della rilevazione, e utilizzare sempre e solo quelli.

Il loro utilizzo, peraltro, può assumere due forme:

  1. utilizzo congiunto in un sistema meccanico di trading che porti all’assunzione o alla liquidazione di determinate posizioni al verificarsi di certe condizioni;
  2. utilizzo in combinazione con analisi soggettiva dei grafici e delle tendenze al fine di lasciare alla discrezionalità dell’analista l’individuazione del momento più appropriato per un intervento sul mercato.

Dei sistemi meccanici di trading parleremo, al momento opportuno, in una serie di appunti specifici. Al momento, concentriamoci brevemente sul secondo degli aspetti sopra evidenziati.

Di solito, ciascun indicatore prevede l’adozione di un’iniziativa al verificarsi di una determinata condizione: così è, ad esempio, per un indicatore di momento che perfora una propria media mobile, per un Macd che cambia direzione o che perfora la linea dello zero, per un Rsi che perfora determinati livelli, ecc.

La corretta operatività presuppone che, estratti certi segnali dall’analisi grafica, se ne cerchi conferma nell’indicatore più appropriato, tra quelli utilizzati, alla corrente fase di mercato. Solo quando analisi grafica e indicatore punteranno nella stessa direzione si darà concretezza ai segnali ricevuti. Accade, purtroppo, che spesso una delle due componenti produca con ritardo eccessivo la conferma del segnale prodotto dall’altra e, allora, o si agisce d’istinto vanificando le proprie regole di comportamento o si agisce con ritardo perdendo così, salvo rari casi, la fase più rilevante di un movimento.

Il sistema migliore, per superare l’inconveniente, è quello di evitare di “inseguire” la concordanza dei segnali. Se, infatti, si riesce a monitorare contemporaneamente più mercati o più titoli, si può invertire il processo logico andando ad operare solo ed esclusivamente su quelli che presentano una combinazione efficace trascurando, invece, quelli che non offrono completezza di segnalazione.

In tal modo, se il proprio sistema operativo è efficace, se ne valorizzano gli aspetti segnalatori riducendo o eliminando la deleteria fase psicologica di attesa che, spesso, porta ad anticipare i segnali incompiuti o, anche, a trascurare quei segnali che la propria discrezionalità porta a ritenere tardivi nella loro conferma reciproca.

 

FORZA RELATIVA

 

Premessa

Uno degli aspetti di analisi tecnica sovente trascurati è quello della forza relativa. Con tale espressione si intende la misura che scaturisce dal confronto tra due serie di quotazioni, generalmente quelle di un indice di settore e di un indice generale o quelle di una azione e del corrispondente indice di settore. Nulla esclude, naturalmente, che si possano mettere a confronto anche due diversi titoli, oppure un titolo e l’indice generale, oppure, ancora, due qualsiasi serie storiche.

Lo scopo dell’analisi di forza relativa è quello di verificare la posizione di un valore rispetto a un altro preso a base di riferimento: in proposito, maggiore è la forza del primo, migliore è stata, e si presume possa continuare a esserlo fino a prova contraria, la performance rispetto al secondo; viceversa, naturalmente, nel caso di bassa forza del primo valore rispetto al secondo.

 

Rilevazione

I valori di forza relativa si ottengono facendo il rapporto tra ciascun termine di una serie storica e il termine corrispondente, sotto il profilo temporale, di una seconda serie.

Si ottiene una successione di numeri che, in sé, non significa nulla ma che, se rappresentata graficamente, dà l’esatta percezione di come un valore quotato si sia mosso nel tempo rispetto a un altro.

Se, infatti, il grafico assume andamento ascendente ciò significa che il rapporto tra ciascun valore della prima serie e il corrispondente valore della seconda è andato crescendo; quindi, o il primo termine del confronto si è progressivamente apprezzato più del secondo oppure si è deprezzato meno del secondo: in entrambi i casi si è rivelato più forte.

Il contrario avviene se il grafico assume andamento decrescente.

I grafici di forza relativa possono essere letti e interpretati come qualsiasi altro grafico: su di essi può essere effettuata l’analisi grafica con tutte le variabili di tendenze e figure, così come su di essi possono essere calcolati sia una media mobile che tutto l’armamentario di indicatori previsti dall’analisi tecnica.

 

Interpretazione

Come detto sopra, la forza relativa può essere calcolata anche su due singoli titoli. In tal caso la funzione della rilevazione è solo quella di mettere in evidenza le risultanze del confronto.

Di solito, però, lo scopo di questo tipo di analisi è quello di osservare la performance di un titolo rispetto a un indice oppure di un indice di settore rispetto all’indice generale. In tal caso, dall’analisi si possono trarre anche considerazioni sull’evoluzione della tendenza del titolo o dell’indice di settore.

In proposito, esemplificando su un confronto tra indice di settore e indice generale, si supponga di calcolare sia sull’indice di settore che sui valori di forza relativa una media mobile di ampiezza adeguata alle proprie esigenze; si applichino, quindi, le seguenti regole interpretative:

Benché le regole sopra indicate non pretendano di essere interpretate con rigore meccanico, un primo criterio generale è quello di considerare come segnale di intervento il contemporaneo incrocio, nella stessa direzione, dell’indice di settore e della forza relativa con le rispettive medie mobili.

Analogamente, un secondo criterio di interpretazione è quello di considerare in situazione di eccesso (ipercomprato o ipervenduto) quei settori che, unitamente alla corrispondente forza relativa, si trovano a una distanza significativa dalla corrispondente media mobile.

 

 

 

ALFA E BETA

 

Premessa

Le tecniche adottate per la selezione dei titoli sui quali operare si basano, normalmente, sullo studio dei trend, delle figure, degli oscillatori.

Poca o nessuna importanza viene attribuita a quei parametri che, seppure un po’ articolati nelle modalità di calcolo, offrono un valore informativo aggiunto di grande portata: parliamo dei coefficienti alfa e beta.

E’ grazie a questi parametri che possono essere valutate, con sufficiente approssimazione, le caratteristiche di aggressività e di variabilità, in sintesi il grado di rischiosità, di un titolo, così da rendere più complete e consapevoli le scelte di investimento.

 

Coefficiente beta

Il coefficiente beta misura il grado storico di aggressività di un titolo rispetto al mercato. Assume valori che oscillano intorno allo zero e misura l’attitudine storica di un titolo a variare in misura maggiore (valore assoluto di beta >1)  o minore (valore assoluto di beta<1) dell’indice di riferimento. Inoltre, misura l’attitudine storica del titolo a variare nella stessa direzione (beta>0) dell’indice di riferimento oppure in direzione contraria (beta<0).

Si possono avere, quindi, 4 casi:

1) beta>1: il titolo presenta attitudine ad aumentare o a diminuire, in un determinato arco temporale, in misura maggiore dell’indice; ad esempio, a un beta di 1,20 corrisponderà una variazione tendenziale del titolo dell’1,20%, sia in aumento che in diminuzione, per ogni punto percentuale di variazione dell’indice;

2) 0<beta<1: il titolo presenta attitudine ad aumentare o a diminuire, in un determinato arco temporale, in misura minore dell’indice; ad esempio, a un beta di 0,80 corrisponderà una variazione tendenziale del titolo dello 0,80%, sia in aumento che in diminuzione, per ogni punto percentuale di variazione dell’indice;

3) beta<-1: vale quanto detto al punto 1, con l’avvertenza che, in questo caso, il titolo tenderà a muoversi in direzione contraria a quella dell’indice;

4) -1<beta<0: vale quanto detto al punto 2, con l’avvertenza che, in questo caso, il titolo tenderà a muoversi in direzione contraria a quella dell’indice.

 

Naturalmente, la capacità dei coefficienti beta a fornire indicazioni attendibili è strettamente legata alla loro stabilità nel tempo; e tale stabilità risulta tanto maggiore quanto più lunga è la serie storica sulla quale il coefficiente viene calcolato: si calcolano, quindi, coefficienti a 3 mesi, a 6 mesi, a un anno e anche più. Coefficienti di durata inferiore forniscono risultati estremamente variabili. La stabilità dei coefficienti beta viene altresì migliorata con la diversificazione del portafoglio.

 

Calcolo del coefficiente beta

Per la descrizione dell’algoritmo di calcolo proponiamo una tabella di pochi elementi riportante, nella prima colonna, le ipotetiche quotazioni di un titolo e, nella seconda, il corrispondente ipotetico valore di un indice di riferimento.

 


1000

21500

1010

21600

1030

21900

990

21900

978

21850

1000

21790

1020

21820

1035

21900

1040

22100

1020

22100

1020

22000


 

 

Nella terza e nella quarta colonna calcoliamo il rendimento giornaliero del titolo e quello dell’indice secondo la seguente formula:

100*(Qt - Qt-1)/Qt-1

   

1000

21500

 

 

1010

21600

1

0,465116

1030

21900

1,980198

1,388889

990

21900

-3,8835

0

978

21850

-1,21212

-0,22831

1000

21790

2,249489

-0,2746

1020

21820

2

0,137678

1035

21900

1,470588

0,366636

1040

22100

0,483092

0,913242

1020

22100

-1,92308

0

1020

22000

0

-0,45249

 

Calcoliamo, quindi, la media aritmetica dei rendimenti del titolo (0,2164) e dell’indice (0,2316) e lo scarto tra i valori giornalieri di rendimento del titolo e del mercato e la corrispondente media (colonne quinta e sesta).

 

1000

21500

 

 

 

 

1010

21600

1

0,465116

0,783533

0,2335

1030

21900

1,980198

1,388889

1,763731

1,157273

990

21900

-3,8835

0

-4,09996

-0,23162

978

21850

-1,21212

-0,22831

-1,42859

-0,45993

1000

21790

2,249489

-0,2746

2,033021

-0,50622

1020

21820

2

0,137678

1,783533

-0,09394

1035

21900

1,470588

0,366636

1,254121

0,13502

1040

22100

0,483092

0,913242

0,266624

0,681626

1020

22100

-1,92308

0

-2,13954

-0,23162

1020

22000

0

-0,45249

-0,21647

-0,6841

 

 

Moltiplichiamo, giorno per  giorno, gli scarti del titolo per i corrispondenti scarti di mercato (colonna quinta * colonna sesta) ottenendo così una settima colonna in tabella.

 

1000

21500

 

 

 

 

 

1010

21600

1

0,465116

0,783533

0,2335

0,182955

1030

21900

1,980198

1,388889

1,763731

1,157273

2,041117

990

21900

-3,8835

0

-4,09996

-0,23162

0,949618

978

21850

-1,21212

-0,22831

-1,42859

-0,45993

0,657046

1000

21790

2,249489

-0,2746

2,033021

-0,50622

-1,02915

1020

21820

2

0,137678

1,783533

-0,09394

-0,16754

1035

21900

1,470588

0,366636

1,254121

0,13502

0,169331

1040

22100

0,483092

0,913242

0,266624

0,681626

0,181738

1020

22100

-1,92308

0

-2,13954

-0,23162

0,495553

1020

22000

0

-0,45249

-0,21647

-0,6841

0,148086

 

La somma dei valori della settima colonna (3,6287) è la codevianza del titolo sul mercato.

Eleviamo al quadrato gli scarti di mercato (colonna sesta) ottenendo un’ottava colonna.

1000

21500

 

 

 

 

 

 

1010

21600

1

0,465116

0,783533

0,2335

0,182955

0,054522

1030

21900

1,980198

1,388889

1,763731

1,157273

2,041117

1,33928

990

21900

-3,8835

0

-4,09996

-0,23162

0,949618

0,053646

978

21850

-1,21212

-0,22831

-1,42859

-0,45993

0,657046

0,211533

1000

21790

2,249489

-0,2746

2,033021

-0,50622

-1,02915

0,256254

1020

21820

2

0,137678

1,783533

-0,09394

-0,16754

0,008824

1035

21900

1,470588

0,366636

1,254121

0,13502

0,169331

0,01823

1040

22100

0,483092

0,913242

0,266624

0,681626

0,181738

0,464614

1020

22100

-1,92308

0

-2,13954

-0,23162

0,495553

0,053646

1020

22000

0

-0,45249

-0,21647

-0,6841

0,148086

0,468

 

La somma dei valori dell’ottava colonna (2,9285) è detta devianza del mercato.

Il rapporto tra la codevianza del titolo sul mercato e la devianza del mercato è il coefficiente beta cercato: 1,23

 

Il coefficiente beta, in altri termini, è il coefficiente angolare della retta di regressione passante per  i punti individuati dall’incontro tra le proiezioni delle quotazioni del titolo riportate sull’asse delle ordinate e le proiezioni dei valori dell’indice riportati sull’asse delle ascisse.

 

Coefficiente alfa

Mentre il coefficiente beta misura l’attitudine di un titolo a variare in funzione del mercato (rischio sistematico), il coefficiente alfa esprime l’attitudine di un titolo a variare indipendentemente dal mercato (rischio specifico).

A un alfa positivo, quindi, corrisponde la capacità di un titolo a generare autonomamente reddito in linea capitale mentre a un alfa negativo corrisponde la tendenza di un titolo a subire perdite indipendentemente dall’andamento di mercato.

In un sistema di assi cartesiani, il coefficiente alfa non è altro che l’intercetta sull’asse delle ordinate della retta di regressione il cui coefficiente angolare è il coefficiente beta.

Sia l’equazione della retta Y = a + bX

Allora:

 

a = Y - bX

 

Riprendendo l’esempio precedente poniamo:

 

Y = media aritmetica dei rendimenti del titolo (0,2164)

X = media aritmetica dei rendimenti del mercato (0,2316)

b = coefficiente beta (1,23)

 

alfa = -0,068

 

Osservazioni

Il corretto uso dei coefficienti citati permette di orientare le proprie scelte in funzione delle caratteristiche delle fasi di mercato che si ritiene siano in atto di volta in volta.

Così, in caso di trend ascendente ci si orienterà su titoli con beta maggiore di uno e, a parità di beta, su titoli con alfa positivo.

Viceversa, nel caso si voglia rimanere sul mercato con atteggiamento difensivo in vista di possibili ripiegamenti, ci si potrà orientare su titoli a basso beta.

Se si vuole operare al ribasso (ad esempio con l’acquisto di opzioni put) si possono scegliere titoli ad alto beta (in previsione di mercato riflessivo) e alfa negativo.

Sono, queste, osservazioni del tutto esemplificative dal momento che è solo da una corretta combinazione dei coefficienti prescelti, unita a una appropriata analisi tecnica grafica e quantitativa (indicatori), che può scaturire una elevata probabilità di successo.

 


www.consulenzafinanziaria.net - © 2002