I Derivati

 

Scopi e finalità

Gli obiettivi di questo “corso sui derivati” sono principalmente divulgativi e in nessun modo vogliono essere uno stimolo all’utilizzo degli strumenti trattati.

Visto il crescente interesse del mondo degli investitori non istituzionali verso l’utilizzo degli strumenti derivati, complice anche l’offerta sempre più articolata rivolta espressamente a tale categoria di strumenti notoriamente complessi e difficili da valutare sia in termini di prezzo che di rischio/rendimento, ho pensato di proporre delle note esplicative accessibili alla maggior parte degli investitori con un minimo di cultura finanziaria di base.

Per quanto riguarda il caso specifico del mercato italiano, tutte le caratteristiche descrittive dei mercati derivati e dei prodotti trattati si possono reperire nel sito ufficiale della Borsa Italiana, www.borsaitalia.it, nella sezione mercati.

 

[Ogni errore od omissione sono da imputarsi esclusivamente a mie mancanze e ringrazio anticipatamente chiunque volesse segnalarmeli.]

 

 

Mercati a pronti e mercati a termine

La differenza di denominazione dipende sostanzialmente dal momento della regolazione del contratto. Nel mercato a pronti è immediata mentre nel mercato a termine differita nel futuro. Praticamente sul mercato a termine si conclude oggi un contratto, fissandone tutte le caratteristiche, che verrà regolato a scadenza.

Tali mercati nascono storicamente con l’esigenza di frazionare i rischi derivanti dall’aleatorietà del futuro.

I primi prodotti che videro la nascita di mercati a termine furono le “commodities”: prodotti agricoli, minerali etc..

Il mercato a termine serviva per stabilire in anticipo i prezzi ai quali sarebbe stata acquistata/venduta la merce, ciò al fine di evitare sgradite sorprese dovute a particolari condizioni di domanda e di offerta a scadenza.

Ad esempio si consideri un allevatore che sa di dover acquistare una certa quantità di grano tra un po’ di mesi (lo stesso esempio funziona per un’azienda che lavora con l’estero e deve pagare una fattura in valuta); mesi in cui non sa se il tempo sarà bello o brutto e di conseguenza la produzione abbondante o scarsa con le ovvie conseguenze sul prezzo.

Tale allevatore potrebbe accordarsi con l’agricoltore e fissare oggi un prezzo “medio” a cui si scambieranno il prodotto. Hanno diviso il rischio. Se la produzione sarà abbondante e il prezzo relativamente basso, l’agricoltore ci guadagna e l’allevatore ci perde, viceversa accade il contrario.

Nascevano i cosiddetti contratti forward. Contratti in cui al momento della stipula si decide di scambiarsi una determinata quantità di beni (sottostante), ad un prezzo fissato ad una certa data futura. Sono i precursori dei contratti futures; concettualmente identici, ma standardizzati in termini di quantità e scadenze e scambiati su un mercato regolamentato. Si noti che al momento dell’apertura del contratto non ci sono movimenti né di beni né di moneta.

Più o meno contestualmente, e sempre per l’esigenza di trasferire parte del rischio, nascono anche i contratti di opzione. A differenza dei contratti forward e futures, il rischio viene assunto tutto da una sola parte contraente che svolge una funzione da “assicuratore”. Per assumersi il rischio viene compensato dalla controparte tramite il pagamento di un “premio”, che poi rappresenta il costo dell’opzione.

Tale contratto prevede infatti la facoltà dell’acquirente di acquistare (vendere) a scadenza una certa quantità di beni a prezzo prefissato. Il fatto che comporti un diritto del compratore verso un obbligo del venditore mostra bene il trasferimento di rischio dal primo al secondo e giustifica il pagamento del premio. Con il passare del tempo anche questo tipo di contratti si sono via via standardizzati dando origine a dei mercati specifici: i mercati dei derivati.

 

Da quanto detto finora, il fine originario dei derivati era connesso alla copertura dai rischi delle fluttuazioni del mercato: finalità di hedging. Si è visto infatti che ad esempio con i contratti forward e futures la finalità non era di massimizzare i profitti, ma di ridurne la variabilità.

Dalle caratteristiche intrinseche dei derivati (che verranno analizzate in seguito) emerse poi la figura degli speculatori. Agenti che prendono posizione sul mercato scommettendo su una direzione. La differenza rispetto all’investimento sul mercato a pronti è che sul mercato a termine non è richiesto alcun esborso iniziale (forward) o perlomeno limitato (futures e options) incrementando l’effetto di leva finanziaria dell’investimento.

Infine, come per ogni prodotto trattato su più mercati, compaiono gli arbitraggisti. Tali agenti basano la loro operatività esclusivamente su disallineamenti dei prezzi sui vari mercati cercando di ottenere dei profitti certi senza impieghi di fondi.

Il concetto di arbitraggio

Per introdurne il concetto di arbitraggio, si riporta un aneddoto, leggermente adattato, presentato da H. Varian nel suo articolo apparso sul Journal of Economic Perspective del 1987.

Un famoso economista in vacanza ed un agricoltore si trovano per caso ad attendere lo stesso treno in una stazione. Per ingannare il tempo l'agricoltore propone all'universitario un gioco di indovinelli: ''Io le pongo una domanda'', dice il contadino, ''e se lei non sa rispondere mi darà 100.000 Lire; poi lei mi interrogherà a sua volta e sarò io a darle altrettanto se non saprò rispondere''. ''Certamente'', risponde il professore, ''ma devo avvertirla che io sono xxx, professore di economia e finanza!”. A queste parole il paesano replica: ''allora bisognerà cambiare la regola: lei mi darà sempre 100.000 Lire in caso non sappia rispondere, ma io non le darò che 50.000 Lire se sarò io a non rispondere''. ''D'accordo'', dice l'economista, ''qual’è il vostro indovinello?''. Il contadino riflette un momento e propone: ''chi è che sale la collina su sette piedi e ne ridiscende su tre?'' Il professore, dopo essersi inutilmente scervellato, finisce per confessare la propria ignoranza e, spinto dalla curiosità, chiede imprudentemente qual'è questo strano essere. ''A mia volta non ne so nulla'', risponde maliziosamente l'agricoltore, ''tutto quello che so è che lei mi deve 50.000 Lire!''

Questa storia illustra molto bene ciò che si intende per opportunità di arbitraggio: la possibilità di realizzare un guadagno certo senza alcun impegno di fondi. I mercati in generale, quelli finanziari in particolare, offrono possibilità di arbitraggio che sono ovviamente molto ricercate e costituiscono la funzione principale di alcuni operatori detti appunto arbitraggisti. Sono i loro interventi che, influenzando la domanda e l'offerta, riportano i prezzi verso i loro valori di equilibrio in corrispondenza dei quali tali opportunità non esistono.

 

Questo è l’assunto fondamentale dei modelli teorici di calcolo dei prezzi. Un prezzo è “giusto” se non consente opportunità di arbitraggio.

L'arbitraggio e il mercato dei cambi.

Uno degli esempi più classici di arbitraggio è quello relativo al mercato dei cambi. Per illustrare la situazione si consideri una giornata in cui si osservano i seguenti tassi di cambio su diversi mercati:

In questo caso si può realizzare un profitto di arbitraggio pari a 0,06 Euro. Con un Euro acquistiamo 95 Yen a Tokio, li convertiamo in 0,95 $ a Monaco per riottenere a Milano 0,95/0,9 = 1,06 Euro circa. Si nota immediatamente che tali opportunità possono portare a profitti molto alti se le transazioni sono consistenti. In generale, effettuando degli scambi incrociati di monete dove una unità di moneta A si scambia contro x unità di moneta B e contro y unità di moneta C, non ci sono opportunità di arbitraggio se x unità di moneta B si scambiano contro y unità di moneta C. Nell'esempio si può agevolmente verificare che tale vincolo non è rispettato e, come si è visto, si possono realizzare dei profitti di arbitraggio. Chiamiamo A l’Euro, B il dollaro e C lo Yen: tenendo fissi i cambi dell’Euro, dovrebbe essere che 0,9 Dollari si scambiano con 95 Yen, ovvero il cambio Dollaro/Yen dovrebbe essere 95/0,9=105,55. L’operazione precedente, nella conversione di Yen in Dollari, darebbe 0,9 Dollari che corrispondono esattamente all’Euro di partenza.

Naturalmente nella realtà bisogna tener presenti i costi di transazione e il tempo necessario a chiudere il ciclo; l'incidenza dei costi è ovvia, mentre per quanto riguarda il tempo, tra l'apertura e la chiusura della posizione i corsi potrebbero cambiare e l'operazione da arbitraggio potrebbe diventare speculazione.

 

L’arbitraggio e i mercati a termine

In questo esempio si considera l'esistenza simultanea di un mercato in contanti (spot) e di un mercato a termine (forward) per uno stesso prodotto. Stipulando un contratto forward, le due parti si impegnano a scambiarsi un bene, detto supporto o sottostante, a scadenza per un prezzo pattuito al momento della sottoscrizione del contratto stesso. In effetti la consegna del bene può non avere luogo in quanto nella maggioranza dei casi le parti contraenti prendono una posizione inversa appena prima della scadenza, bilanciando la precedente, ovvero si dice che chiudono la posizione. Come nel caso precedente, e come verrà ipotizzato durante tutta la trattazione, il mercato è senza frizioni, ovvero: non si considerano tasse, costi di transazione, è possibile prendere a prestito o prestare allo stesso tasso e sono permesse vendite allo scoperto. Inoltre si indica con t la data corrente, con T la scadenza, con S(t) il prezzo (o corso) spot al tempo t, con F(t) il prezzo forward al tempo t (i valori a T saranno indicati con S(T) e F(T)) e con r il tasso senza rischio relativo al periodo T-t.

Il tasso senza rischio verrà definito formalmente più avanti, per il momento si pensi al tasso associato ad un'operazione di cui si è certi del risultato qualunque cosa accada. Generalmente si utilizzano come riferimento i tassi sui Titoli di Stato (BOT in Italia) che, a meno di bancarotta dello Stato (evento a cui si può teoricamente associare, almeno per i paesi più sviluppati, una probabilità nulla), saranno sempre rimborsati al valor nominale.

Consideriamo ora un operatore con aperta una posizione lunga (di acquisto) sul supporto e una posizione corta (di vendita) sul mercato a termine. A scadenza, nel caso che nessuna delle due posizioni venga chiusa prima, il saldo G(T) dell'operazione si scrive:

G(T) = S(T) – S(t) + F(t) – F(T)

Dove – S(t) rappresenta l'esborso in t per acquistare il supporto, F(t) rappresenta l'incasso pattuito in t e liquidato in T relativamente alla vendita a termine, S(T) rappresenta l'incasso relativo alla chiusura della posizione sul supporto in T (vendita del bene) e – F(T) rappresenta l'esborso relativo alla chiusura della posizione a termine in T (acquisto del bene). Ovviamente a scadenza il prezzo spot è uguale al prezzo forward F(T) = S(T), dunque G(T) = F(t) – S(t).

Il saldo a scadenza è allora perfettamente conosciuto al momento in cui si apre la posizione (istante t). L'operazione ha richiesto un investimento pari a S(t) (si ricorda che F(t) è conosciuto oggi ma si otterrà a scadenza) ed il suo rendimento tra t e T è (F(t) – S(t))/(S(t)). Ammettendo una base annua per calcolare il rendimento e denominando = T - t la frazione di anno corrispondente alla durata della posizione, il rendimento R ottenuto è definito da:

R(T-t) = (F(t) – S(t))/(S(t))

e che può essere riscritto come

F(t) = S(t)(1 + R(T-t)).

Per non avere opportunità di arbitraggio deve valere la relazione R = r in quanto anche il rendimento R è senza rischio e, se così non fosse, si potrebbe sfruttare tale possibilità creando una posizione autofinanziata che produca un reddito. Si supponga ad esempio che valga R > r: in tal caso si potrebbe prendere a prestito la somma S(t) e reinvestirla immediatamente nella posizione descritta in precedenza. In t non è richiesto alcun esborso mentre il saldo a scadenza sarà

G(T) = F(t) – S(t)(1 + r(T-t))

dove F(t) rappresenta l'incasso della vendita a termine e S(t)(1 + r(T-t)) il rimborso del prestito.

Sostituendo a F(t) il suo valore si ottiene

G(T) = S(t)(1 + R(T-t)) – S(t)(1 + r(T-t)) = S(t)(T-t)(R - r)

che è sicuramente positivo dall'ipotesi R > r. Si è dunque realizzato un profitto certo senza alcun impegno di fondi, ovvero si è realizzato un profitto di arbitraggio. L'operazione appena descritta si dice cash and carry. Se valesse la disuguaglianza contraria, ovvero r > R, l'operazione che si dovrebbe attuare per sfruttare l'opportunità di arbitraggio, e che si lascia come semplice esercizio al lettore, si dice reverse cash and carry.

Il ruolo del market-maker e il differenziale denaro-lettera (bid-ask spread)

E’ risaputo che la funzione del market-maker è quella di fornire liquidità al mercato, ma perché serve innanzitutto?

Nella realtà dei mercati il prezzo dovrebbe formarsi semplicemente per l’incontro della domanda con l’offerta, ma la cosa potrebe creare dei problemi di ricerca della controparte. Il market-maker ha quindi il compito di sopperire a momentanee carenze sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta quotando costantemente un prezzo a cui è disposto ad acquistare (denaro) e un prezzo a cui è disposto a vendere (lettera). La remunerazione del servizio offerto non è altro che il differenziale tra i due prezzi. Non si deve poi dimenticare che, a causa della sua attività, il market-maker è costretto a detenere un portafoglio e, come tutti gli investitori, deve rispettarne in qualche modo una composizione ottimale.

Dopo aver riflettuto sul fatto che l’immissione di ordini a prezzo limitato fornisce liquidità al mercato (aumenta le possibilità di trovare una controparte) mentre gli ordini al meglio la consumano, si trova anche una giustificazione ai guadagni derivanti dall’attività di “scalping” ultimamente molto diffusa. Se per qualche motivo il market-maker quota spread troppo ampi, gli investitori sono incentivati ad inserire ordini a prezzo limitato aumentando la liquidità del mercato stesso. Lo “scalper” fà di questa attività la propria fonte di guadagno; cerca titoli con spread ampi e immette ordini sia in denaro che in lettera migliorando i prezzi del market-maker. I guadagni quindi sono ampiamente giustificati interpretando tale attività come offerta di liquidità piuttosto che in ottica di speculazione.

Fattori che influenzano lo spread

*  Frequenza delle transazioni: i titoli con transazioni frequenti permettono di eseguire rapidamente i programmi di acquisto e vendita per bilanciare le posizioni quindi in genere esibiscono spread contenuti. Al contrario i titoli poco scambiati avranno spread ampi poiché il servizio offerto acquista maggior valore e, d’altro canto, perché al market-maker stesso risulta più difficile ribilanciare il portafoglio.

*  Volume delle transazioni: intanto si premette che generalmente il market-maker sono tenuti a fare prezzo per una certa quantità di titoli. Se arrivasse un ordine con volumi di molto superiori, anche senza considerarne le implicazioni, solo per essere assorbito implicherebbe l’assunzione di una posizione indesiderata e difficile da bilanciare. L’effetto ovvio è un allargamento dello spread per compensare le eventuali difficoltà.

*  Volatilità dei prezzi: più o meno agisce come sopra. In caso di forte volatilità le procedure di bilanciamento delle posizioni potrebbero divenire problematiche a causa dei veloci movimenti di prezzo quindi lo spread aumenta con l’aumentare della volatilità.

*  Presenza di “insider” (possessori di informazioni riservate”: è dimostrato che con gli insider i market-maker sono sempre in perdita. Lo sono per definizione poiché tutto sommato un market-maker non ha a disposizione tali informazioni. Generalmente un insider immette prezzi al meglio perché vuole essere sicuro di essere eseguito nel minor tempo possibile; non importa pagare qualche tick in più o incassarne qualcuno in meno tanto è sicuro della direzione che prenderà il titolo. Altro fattore importante è il volume correlato alla presenza di insider, generalmente più elevato della media. Solo la possibile esistenza di tali operatori (l’insider trading è vietato e perseguito, ma non è per nulla facile dimostrarlo) giustifica un ampliamento dello spread al fine di tutelarsi. Potrebbe darsi che in certe situazioni particolari, ordini al meglio di ammontari insolitamente elevati, il market-maker abbia l’impressione di trovarsi di fronte a delle informazioni riservate e allarghi lo spread.

 

Futures

Caratteristiche dei contratti futures

Come si è accennato nell’introduzione, i contratti futures sono standardizzati nelle loro caratteristiche principali. In particolare per quanto riguarda una corretta definizione del sottostante, la dimensione del contratto, i termini di quotazione dei prezzi, la scadenza, il luogo della consegna e la determinazione del prezzo.

*  Sottostante: si tratta di definire esattamente il bene oggetto di scambioa scadenza. Il problema maggiore si pone per i beni materiali, le “commodities”. Parlando ad esempio di grano: di che qualità? Con quali caratteristiche organolettiche? E via dicendo. Nel seguito, parlando delle diverse categorie di futures (su commodities, indici, valute, tassi di interesse), verranno analizzate più in dettaglio.

*  Dimensione del contratto: specifica la quantità di sottostante oggetto del contratto.

*  Condizioni di consegna: premesso che generalmente il problema della consegna non si pone quasi mai (si liquida in contanti), parlando di commodities la cosa potrebbe essere differente. Si definiscono allora i mercati sui quali dovrà avvenire la consegna e in quali termini. Notiamo che ciò potrebbe implicare notevoli costi di trasporto, immagazzinamento e così via.

*  Condizioni di quotazione: si specificano le variazioni di prezzo in termini di tick e di eccesso di variazione (se necessario).

*  Limiti di posizione: il massimo numero di contratti che può aprire uno speculatore. Vuole evitare che la speculazione possa “dirigere” il mercato. Ovviamente da tale limite sono esclusi gli hedgers.

Un’altra caratteristica tipica dei contratti futures è l’open interest. Tale quantità non è altro che la somma di tutte le posizioni lunghe (o equivalentemente tutte le operazioni corte) aperte ad una certa data. Le implicazioni sono interessanti: un aumento dell’open interest significa che un numero crescente di operatori assume posizioni indotte da aspettative opposte. Se ad esempio ci si trova in una fase di tendenza definita, tale dato segnala una crescente divergenza di vedute da parte degli operatori circa la futura evoluzione del mercato. Un decremento dell’open interest invece indica un numero crescente di chiusure dei contratti e costituisce l’effetto indotto da una diffusa convergenza di aspettative. La modificazione delle attese speculative nel contesto di fasi espansive o recessive prelude dunque all’avvio di una fase di congestione se non un’inversione di tendenza.

Gli effetti sull’open interest delle diverse “prese di posizione” degli operatori è riassunto nella seguente tabella:

  

Transazioni

Open interest

Tipo operazione

Acquisti di titolari di posizioni corte da titolari di posizioni lunghe

diminuisce

chiusure

Acquisti di titolari di posizioni corte da nuovi venditori a termine

stabile

Switch tra operatori “corti”

Acquisti di nuovi compratori a termine da titolari di posizioni lunghe

stabile

Switch tra operatori “lunghi”

Acquisti di nuovi compratori a termine da nuovi venditori a termine

aumenta

aperture

Vendite di titolari di posizioni lunghe a nuovi compratori a termine

Stabile

Switch tra operatori “lunghi”

Vendite di titolari di posizioni lunghe a titolari di posizioni corte

diminuisce

chiusure

Vendite di nuovi venditori a termine a titolari di posizioni corte

stabile

Switch tra operatori “corti”

Vendite di nuovi venditori a termine a nuovi compratori a termine

aumenta

aperture

 

Marking-to-Market: il meccanismo dei margini di garanzia

Non prevedendo esborsi iniziali, una operazione a termine è soggetta al rischio di insolvenza di una delle due parti. Tale rischio è alto per i contratti forward non standardizzati che possono essere semplici accordi bilaterali. Al fine di evitare questa “preoccupazione” agli operatori e rendere il mercato più appetibile viene creata la Cassa di Compensazione; un organismo che raccoglie dei depositi a garanzia del buon fine dell’operazione e si pone come interfaccia per tutti gli operatori eliminando il rischio di insolvenza. La Cassa di Compensazione, per tutelarsi a sua volta, adegua il deposito di garanzia giornalmente per tenere conto del valore delle posizioni in essere.

L’intermediario presso il quale si opera apre un conto apposito per il deposito dei margini di garanzia. Al momento dell’apertura del contratto deve essere depositata una somma variabile (dipende dall’intermediario) non inferiore al 7.5% (in Italia) del valore sottostante al contratto stesso. In genere gli intermediari richiedono un versamento che va dal 10% al 15% del valore del contratto. In nessun caso il saldo del conto margini deve scendere al di sotto della percentuale minima pari al citato 7.5%. Ogni fine giornata si chiude la posizione in essere, si calcolano gli eventuali profitti o perdite che verranno accreditati o addebitate sul conto margini; contestualmente si riapre la posizione al nuovo prezzo. Se per effetto di perdite continuate il saldo del deposito scende al di sotto della soglia minima è richiesto un versamento integrativo (la chiamata di margine, “margin call”).

Un esempio può aiutare a chiarire il concetto.

Supponiamo di acquistare un contratto futures sull’indice di borsa MIB30, il FIB30. Il valore del contratto è calcolato attribuendo ad ogni punto indice il valore di 5 Euro. Se il valore di acquisto iniziale fosse 45000, il valore del contratto sarebbe 45000*5=225000 Euro. Con un deposito iniziale del 10%, 22500 Euro, e un minimo del 7.5%, 16875 Euro, una situazione tipica è riassunta nella seguente tabella:

  

Giorno

FIB30

Variazione punti

Variazione valore

Conto margini

Chiamata di margine

1

45000

 

 

22500

 

2

44500

-500

-2500

20000

 

3

43500

-1000

-5000

15000

7500

4

43600

+100

+500

23000

 

5

43700

+100

+500

23500

 

6

43000

-700

-3500

20000

 

7

42500

-500

-2500

17500

 

8

42700

+200

+1000

18500

 

9

42300

-400

-2000

16500

6000

10

42300

0

0

22500

 

 

Se ad esempio il nono giorno non si è in grado di reintegrare il margine, l’intermediario ha la facoltà di non riaprire il contratto garantendo così la solvibilità in ogni momento.

Prezzi dei contratti forward e futures

Sottostante non paga interessi o dividendi nel periodo

Si tratta del caso più semplice. Notando F il prezzo futures, S il prezzo spot e r il tasso senza rischio, con semplici argomentazioni di arbitraggio si può giustificare la relazione

,

la quale afferma che il prezzo futures non è altro che il prezzo spot capitalizzato fino a scadenza al tasso senza rischio (in capitalizzazione continua).

Se fosse  si potrebbe vendere il futures (posizione short), prendere a prestito la somma S per il periodo T-t al tasso r ed acquistare il sottostante. A scadenza: si consegna il sottostante incassando F, con  si rimborsa il prestito e la differenza, positiva per ipotesi, è ilprofitto di arbitraggio.

Allo stesso modo se  si potrebbe acquistare il futures, andare short sul sottostante e investire l’incasso S al tasso r fino a T. A scadenza si ritira il montante , si paga F per riacquistare il sottostante e la differenza, positiva per ipotesi, è il profitto di arbitraggio.

Un altro modo per vedere la cosa è di mettere in relazione il prezzo futures F con il valore della posizione a termine f al momento della stipula del contratto che per definizione deve essere pari a zero. Si considerino i due portafogli seguenti:

1.      Una posizione lunga a termine più contanti (presi a prestito) per un ammontare pari a ;

2.      Una posizione lunga sul sottostante.

I contanti nel portafoglio 1 a scadenza daranno esattamente l’ammontare F che serve per pagare il sottostante in accordo con la posizione lunga a termine. Entrmbi i portafogli dunque consistono nel possedere il sottostante alla data T. Per una ovvia legge del prezzo unico, devono avere lo stesso valore oggi alla data t (se a scadenza ho lo stesso risultato, oggi devono costare uguale). Considerando il valore del contratto oggi si può scrivere

.

Per la legge del prezzo unico citata sopra, deve essere f = 0 quindi

.

Sottostante paga un ammontare conosciuto di interessi o dividendi

Definiamo il valore attuale dell’ammontare conosciuto di interessi o dividendi pagati dal sottostante nel periodo come I. Da considerazioni di arbitraggio deve essere

.

Se fosse , si può prendere a prestito la somma S per acquistare il sottostante e vendere il futures. Detenendo il sottostante si incassa I che viene utilizzato per rimborsare parzialmente il prestito il cui ammontare si riduce a S – I. A scadenza, a fronte di un’entrata pari a F (la vendita a termine) si ha un’uscita pari a  per il rimborso del prestito. La somma  per ipotesi è il profitto di arbitraggio. La situazione contraria è ovvia; si vende il sottostante per acquistare a termine.

Considerando i portafogli come prima, si supponga che il secondo sia costituito dal sottostante più la somma I presa a prestito. Con l’incasso dei dividendi nel periodo si rimborserà esattamente tale prestito a scadenza in modo tale che il portafoglio a T corrisponda esattamente a detenere il sottostante (si deve fare in modo che valga la legge del prezzo unico). Facendo di nuovo intervenire il valore del contratto oggi, si può scrivere

e dovendo essere f = 0

Sottostante paga interessi o dividendi ad un tasso noto

Omettendo le considerazioni di arbitraggio che ormai ognuno dovrebbe essere in grado di verificare (basta vendere il più caro per finanziare l’acquisto del meno caro), ci limitiamo all’applicazione della legge del prezzo unico, nella quale peraltro le considerazioni di arbitraggio sono implicite.

Come prima, tenendo fisso il portafoglio 1, si costruisca il portafoglio 2 invece che con una unità di sottostante, con una frazione pari a  supponendo di reinvestire tutti gli eventuali proventi al tasso r. Ancora una volta si è costruito il portafgolio 2 in modo che a scadenza ci si ritrovi esattamente con una unità di sottostante ( che cresce per effetto dei dividendi al tasso q è ) e renderlo equivalente al portafoglio 1. Il valore della posizione f allora è

e dovendo essere f = 0

Tipologie di contratti futures

Futures su tassi

Si tratta forse della categoria più delicata da trattare. Inoltre necessiterebbe di introdurre la struttura per scadenza dei tassi, parlare di obbligazioni, duration ed altri argomenti che verranno magari trattati in futuro in una parte dedicata alla quale si rinvia.

Futures su commodities

Trattando di beni materiali nelle contrattazioni a termine si pongono una serie di problemi di stoccaggio, deperibilità nonché trasporto al luogo di consegna. Ovviamente tutti fattori che si devono considerare nel calcolo del prezzo a termine.

Si usa innanzitutto calssificare i beni tra beni di investimento (oro, argento e così via) e beni di consumo.

Parlando dei primi e considerando solo i costi di stoccaggio (in cui includiamo l’eventuale deperibilità), se tali costi fossero pari a zero, dovrebbe essere

Se i costi sono stimati in valore assoluto in un ammontare C, possono essere visti come un dividendo negativo. Se allora C e il valore attuale dei costi, si ha

.

Se invece i costi sono stimati proporzionalmente ad un tasso c, per analogia con le considerazioni precedenti si ha

Nel caso di beni di investimento è facilmente dimostrabile che tali relazioni devono valere, argomentazioni di arbitraggio simili alle precedenti lo dimostrano.

Per i beni di consumo potrebbe darsi che il fatto di detenerli fisicamente sia un vantaggio, vuoi per approfittare di momentanee carenze sul mercato piuttosto che per utilizzi in processi produttivi od altri motivi. La conseguenza è che le due relazioni precedenti fissano solo un limite superiore al prezzo del futures, ovvero

e

.

Quello che si può fare è stimare il tasso y che realizza l’uguaglianza, ovvero tale che

e

.

Tale tasso è detto convenience yields e rappresenta una stima dei vantaggi derivanti dalla detenzione fisica del bene. Per i beni di investimento dovrebbe essere y = 0.

Se si osservano prezzi futures decrescenti con la scadenza allora significa che y > r + c.

Futures su valute

In tal caso consideriamo la variabile S come il prezzo ad esempio in euro di una unità di moneta estera. Il detenere moneta estera implica anche essere remunerati al tasso senza rischio del paese straniero. Notando come al solito r il tasso senza rischio domestico e rf il tasso estero, costruiamo i due portafogli

1.      acquisto futures più contanti pari a ;

2.      un ammontare di sottostante pari a .

In entrambi i casi si ottiene a scadenza una unità di moneta estera. Allora si ha

e ponendo f = 0

.

Se il tasso estero rf > r si ha che F < S e F decresce all’aumetare della scadenza (la differenza tra S e F aumenta). Se invece r > rf allora F > S e F cresce all’aumentare della scadenza (la differenza tra F e S aumenta).

Futures su indici di borsa

A prescindere dai problemi di costruzione degli indici e dai problemi di costituire portafogli che lo replicano esattamente, la relazione che fondamentalmente lega il prezzo futures al prezzo spot è quella di titoli che pagano dividendi nel periodo. Supponiamo di stimare nel tasso q i dividendi che verranno staccati dai titoli dell’indice nel periodo; allora deve essere

Copertura di un portafoglio

Un piccolo richiamo di teoria di portafoglio si rende necessario. La conclusione fondamentale del Capital Asset Pricing Model (CAPM) è che l’eccesso di rendimento di un titolo rispetto al tasso senza rischio è proporzionale all’eccesso di rendimento del portafoglio di mercato (sostanzialmente l’indice). Il coefficiente di proporzionalità è detto β ed è un buon indicatore della rischiosità del titolo. Detto M il portafoglio di mercato, il β di un generico titolo t è

la prima scrittura è il rapporto tra la covarianza di i con M e la varianza di M, la seconda esprime lo stesso concetto evidenziando il coefficiente di correlazione tra i e M ( ).

Ovviamente l’indice ha β = 1, così come il futures relativo.

Indichiamo con P il valore del nostro portafoglio e calcoliamone il β. Il numero ottimale di contratti che servono per coprire il portafoglio è allora

.

Si noti che ora il β del portafoglio è nullo.

 

ESEMPIO: supponiamo di detenere un portafoglio aggressivo, β = 1,5, di titoli del MIB30 che, al momento, quota ad esempio 45000. Supponiamo che sia r = 5% e che nel periodo, ad esempio due mesi, non ci siano stacchi di dividendi. Il valore del FIB30 sarà  circa. Se il valore del nostro portafoglio è P = 300000 Euro, dato che la dimensione del FIB30 attribuisce il valore di 5 Euro ad ogni punto indice, ne risulta che Ftot= 45376*5 = 226880. Applicando la formula risulterebbe

ovvero si dovrebbero vendere 2 contratti futures.

Sul mercato italiano esiste ora il MiniFIB. Tale strumento è identico al FIB salvo che per la dimensione del contratto; in tal caso si attribuisce il valore di 1 Euro ad ogni punto indice. Con i dat precedenti, Ftot = 45376*1 = 45376 da cui

ovvero si devono vendere circa 10 contratti futures per coprire il portafoglio.

 

Si possono anche utilizzare i futures per modificare il β di un portafoglio.

 

ESEMPIO: con i dati dell’esempio precedente, si supponga di voler portare il β di portafoglio da 1,5 a 1. Si devono allora vendere dei contratti il cui numero è dato da

Usando il FIB30 non ci riusciamo poiché dovremmo vendere 0,661 contratti. Con il MiniFIB invece si avrebbe

che, pur non consentendo una riuscita perfetta, vendendo 3 MiniFIB fornisce un β di portafoglio di poco superiore all’unità. Se invece volessimo portare il β da 1,5 a 3, si devono acquistare dei contratti futures, il numero è dato da

quindi il raddoppio del β si ottiene acquistando due FIB o 10 MiniFIB (il segno meno davanti al numero significa solo che si è in acquisto e non in vendita).

 

La formula generale allora si può scrivere come

dove il valore assoluto di n indica il numero di contratti necessari e il segno indica il tipo di posizione: positivo si vendono e negativo si acquistano.

 

 

Opzioni

 

Contratti di opzione: concetti di base

Si tratta ancora di contratti a termine dove il rischio di fluttuazioni dei prezzi è assunto da una sola controparte a fronte dell’incasso di un premio. Alla data della stipulazione del contratto quindi ci si scambia qualcosa (a differenza dei contratti futures dove non ci si scambia nulla) per il quale si paga un corrispettivo, e questo qualcosa è il rischio. Il meccanismo della trasmissione del rischio avviene attraverso la cessione di un diritto esercitabile a (entro) una determinata scadenza.

In particolare, il tipico contratto di opzione conferisce all’acquirente il diritto ad acquistare(vendere) una determinata quantità di sottostante, ad un prezzo fissato a(entro) una scadenza futura. Il venditore (writer) dell’opzione ha il dovere di adempiere al contratto qualora l’acquirente lo richieda.

Il fatto che si acquisti il “diritto” a fare qualcosa, ci fa ben capire il concetto di trasferimento del rischio e la conseguente esistenza di un premio da pagare.

Analizzando le caratterisctiche del contratto singolarmente, si parla di:

  Opzione Call: diritto di acquisto;

  Opzione Put: diritto di vendita;

  Strike Price (base): prezzo al quale si ha diritto ad acquistare (call) o a vendere (put);

  Sottostante: bene oggetto del contratto (come per i futures esistono varie tipologie di sottostante);

  Multiplo o dimensione: quantità di sottostante oggetto del contratto;

  Opzione Europea: il diritto può essere esecitato solo a scadenza;

  Opzione Americana: il diritto può essere esercitato in qualsiasi momento entro la scadenza.

 

Nel seguito viene utilizzata la seguente notazione:

S = valore corrente del sottostante

K = strike price

T = scadenza

t = data corrente

ST = valore sottostante a scadenza

r = tasso senza rischio

C = valore di una call

P = valore di una put

s = volatilità del sottostante (deviazione standard dei prezzi).

Per semplicità considereremo sempre un multiplo uguale a 1 parlando in generale, anche perché è il metodo di quotazione usato per il mercato IDEM.

 

Possiamo ora iniziare a ragionare sul valore a scadenza di un’opzione.

Consideriamo ad esempio una call sul titolo Telecom Italia e siano S = K = 14 e C = 0,3. A scadenza se ST = 16 converrà esercitare il diritto, acquistare a 14, vendere a 16 ed ottenere un profitto netto di 16-14-0,3=1,7. Ovviamente converrà esercitare fino a che risulterà ST > K. Si noti che per recuperare interamente le perdite il sottostante deve finire ad almeno K + C, nel nostro caso 14,3. Se ST < K ovviamente il diritto non verrà esercitato, l’opzione varrà zero e si resta con la perdita dell’intero premio pagato pari a 0,3. Tale situazione può essere riassunta dicendo che il valore a scadenza è il

Max(ST-K;0)

al quale si toglie il premio pagato per calcolare il payoff totale della posizione.

La seguente tabella excel fornisce il grafico dell’opzione in esempio per una serie di possibili valori di ST

 

 

Ovviamente la posizione del venditore dell’opzione è simmetrica. Il payoff della sua posizione sarà

-Max(ST-K;0)=Min(K-ST;0)

a cui si aggiunge il premio incassato.

 

 

Per una opzione put, ragionando in modo simile, si ottiene che il payoff per una posizione lunga (acquisto) su put sarà

Max(K-ST;0)

mentre per una posizione corta sarà

-Max(K-ST;0)=Min(ST-K;0)

 

 

Se passiamo ora a considerare un istante qualsiasi prima della scadenza, arguiamo immediatamente che deve sempre valere

C >= Max(S-K;0) e P >= Max(K-S;0).

Facciamo l’esempio per una call e ipotizziamo che sia S=10, K=8 e C=1. Si può vendere il titolo a 10 e comprare la call a 1. Se a scadenza il titolo vale più di 8, la call viene esercitata e si chiude la posizione con un profitto di 1 (9-8=1; quanto mi rimaneva in tasca – riacquisto del titolo). Se a scadenza il titolo vale meno di 8, poniamo 7, il profitto è 9-7=2 e più il titolo scende più si guadagna. Tutto senza averci messo nessun capitale; un classico arbitraggio.

Due sono le cose interessanti dell’esempio: la prima è che sembra proprio che la strategia messa in opera (vendita del titolo e acquisto della call) si comporti come un’opzione put; la seconda è che non si può dimenticare il tasso senza rischio.

Rimandando al seguito le precisazioni sulla prima, supponiamo ora che con i dati dell’esempio precedente si abbia anche r = 10%, che sia C = 2,1 e che manchino due mesi a scadenza.

Vendiamo il titolo a 10, acquistiamo la call a 2,1 e mettiamo al tasso senza rischio il rimanente 7,9. A scadenza il montante al tasso senza rischio e 7,9e-0,1*2/12=8,033. I casi poi sono uguali a prima. Se il titolo quota più di 8, spendo 8 esercitando la call e avanzano 0,033, se il titolo quota meno di 8 guadagno ancora di più. Ancora una volta un profitto certo senza impegno di fondi: un arbitraggio.

La relazione corretta quindi sarà

C >= Max(S-Ke-r(T-t);0) e P >= Max(Ke-r(T-t)-S;0).

Utilizzando come al solito i due portafogli, siano:

1.      una call euopea più un ammontare in contanti pari a Ke-r(T-t)

2.      una unità di sottostante.

Riassumendo in una tabella i possibili payoff a scadenza dei due portafogli si otterrebbe:

 

Valore oggi

Valore a scadenza

 

Se ST < K

Se ST > K

C + Ke-r(T-t)

K

ST – K + K = ST

S

ST

ST

 

Si nota che il primo portafoglio a scadenza vale il Max(ST,K) mentre il secondo vale sempre ST. Dal fatto che il valore a scadenza del primo portafoglio è sempre maggiore o uguale al valore del secondo, anche oggi deve valere la stessa relazione, quindi

C + Ke-r(T-t) > S

C > S - Ke-r(T-t)

Tenendo conto del fatto che il peggio che può accadere al possessore dell’opzione è di avere un valore pari a zero a scadenza, il valore oggi deve essere positivo, allora

C >= Max(S-Ke-r(T-t);0).

Per una put si ragiona in modo analogo dove i due portafogli da considerare sono:

3.      una put europea più una unità di sottostante;

4.      un ammontare in contanti pari a Ke-r(T-t).

 

Valore oggi

Valore a scadenza

 

Se ST < K

Se ST > K

P + S

K – ST + ST = K

ST

Ke-r(T-t)

K

K

 

Ancora il primo portafoglio vale Max(ST,K) mentre ilsecondo sempre K. Allora oggi

P + S > Ke-r(T-t)

P > Ke-r(T-t) – S

quindi

P >= Max(Ke-r(T-t) – S;0).

Le quantità Max(S-K;0) e Max(K-S;0), pur non avendo significato nella determinazione di limiti di prezzo per le opzioni, sono comunque utilizzate in quanto forniscono il valore del derivato qualora esso venisse esercitato immediatamente: si parla allora di valore intrinseco.

Con riferimento a tale valore intrinseco si suole classificare le opzioni in tre categorie:

*  Out of the money (OTM): il valore intrinseco è pari a zero. Se inoltre lo strike di una call (put) è molto superiore (inferiore) al prezzo corrente, si parla di opzioni deep out of the money (DOTM).

*  At the money (ATM): lo strike è uguale al prezzo corrente.

*  In the money (ITM): il valore intrinseco è positivo. Se inoltre lo strike di una call (put) è molto inferiore (superiore) al prezzo corrente, si parla di opzioni deep in the money (DITM).

La parità Put-Call

Semplicemente notando che nella discussione svolta sopra i portafogli 1 e 3 avevano un valore uguale a scadenza, pari a Max(ST,K), oggi deve valere

C + Ke-r(T-t) = P + S

che fornisce un utile strumento per confrontare strategie simili utilizzando call piuttosto che put combinandole con posizioni sul sottostante o bond (il tasso senza rischio).

Dividendi

L’effetto del pagamento di dividendi durante la vita dell’opzione, è abbastanza scontato a questo punto. Considerato che una posizione su opzioni è sempre stata confrontata con una posizione sul sottostante, il possessore del titolo incassa i dividendi mentre il possessore del diritto no. Per una call è facile, per una put si pensi che invece di aver venduto il titolo si è comprata una put beneficiando dell’incasso del dividendo.

Come fatto per i futures, si considera D il valore attuale dei dividendi previsti (o conosciuti).

Supponiamo di costruire i seguenti portafogli:

1.      una call più contanti per D + Ke-r(T-t);

2.      una unità di sottostante.

Volendo costruire una tabella come la precedente si avrebbe:

 

Valore oggi

Valore a scadenza

 

Se ST < K

Se ST > K

C + D+ Ke-r(T-t)

DT + K

ST – K + K + DT = DT + ST

S

DT + ST

DT + ST

 

A scadenza il primo portafoglio vale

DT + Max(ST,K)

e il secondo sempre

DT + ST.

Oggi deve allora valere

C + D+ Ke-r(T-t) > S

C > S – D - Ke-r(T-t).

Prendiamo ora i portafogli

3.      una put e una unità di sottostante;

4.      contanti per D + Ke-r(T-t).

Si avrebbe

 

Valore oggi

Valore a scadenza

 

Se ST < K

Se ST > K

P + S

K – ST + ST +DT = DT + K

DT + ST

D + Ke-r(T-t)

DT + K

DT + K

 

A scadenza per il primo si ha

DT + Max(ST,K)

e per il secondo

DT + K

quindi oggi

P + S > D + Ke-r(T-t)

P > D + Ke-r(T-t) – S.

Fattori che influenzano il prezzo di un’opzione

Le variabili che concorrono a determinare il prezzo di un’opzione sono fondamentalmente sei, in particolare:

1.      Prezzo corrente del sottostante S;

2.      strike price K;

3.      vita residua (T-t);

4.      volatilità del sottostante;

5.      dividendi attesi;

6.      tasso senza rischio.

Premesso che l’impatto di tali variabili sul valore di un’opzione verranno approfonditi nel seguito, per il momento ci si limita a considerazioni di carattere generale ottenibili intuitivamente osservando l’effetto sui limiti inferiori al valore di call e put ricavati sopra..

1.      All’aumentare del sottostante S, una call (put) aumenta (diminuisce) di valore in quanto aumenta (diminuisce) la probabilità di esercizio profittevole a scadenza, nonché l’entità di tale profitto.

2.      All’aumentare di K le conclusioni sono opposte: una call (put) diminuisce (aumenta) in quanto è maggiore il prezzo a cui si ha diritto di acquistare (vendere).

3.      All’aumentare della vita residua il valore di entrambe call e put aumenta. Per una prima intuizione, si consideri semplicemente che, a parità di altre condizioni, possedere un diritto con scadenza lunga offre tutte le opportunità di cui gode il possessore dello stesso diritto con scadenza breve più qualcosa. Questo “qualcosa” in più ha un prezzo.

4.      Limitiamoci a dire che un aumento della volatilità induce un aumento di entrambe call e put. Il tutto dipende dall’asimmetria del payoff dell’opzione che, in caso sfavorevole limita le perdite.

5.      Dalla sezione precedente si deduce che un aumento di D induce una diminuzione (aumento) di valore per una call (put).

6.      Un aumento di r induce un aumento (diminuzione) di valore per una call (put) poiché il termine Ke-r(T-t) diminuisce. Il problema però non è così semplice. Un aumento dei tassi di interesse ha anche effetti su S e su D. In particolare sia S che D dovrebbero diminuire e il tutto dipende dall’attualizzazione del dividendo atteso. Utilizzando un tasso più alto il valore attuale del dividendo D diminuisce; considerando che da un punto di vista fondamentale il prezzo di un titolo è l’attualizzazione dei cash flow futuri, anche S diminuisce. Riassumendo: per una put abbiamo due effetti negativi, diminuiscono Ke-r(T-t) e D, e uno positivo, diminuisce S; per una call invece si hanno due effetti positivi, diminuiscono Ke-r(T-t) e D, e uno negativo, diminuisce S. Conserviamo allora l’affermazione iniziale con la consapevolezza che il reale impatto di variazioni del tasso sul valore delle opzioni non è facilmente valutabile (d’altronde non è nemmeno usato più di tanto essendo molto più importanti le prime variabili).

 

 

Strategie elementari (statiche)

 

In questa sezione verranno illustrate le strategie più utilizzate con le opzioni studiandone il payoff a scadenza.

Generalmente si distingue tra posizioni coperte (covered) o non coperte (naked).

Iniziando dalle seconde, basta dire che consistono nell’assunzione di una sola posizione, lunga o corta, sul titolo o sul derivato; acquisto del titolo, vendita del titolo, long call, short call, long put e short put. Quelle viste in precedenza.

Le posizioni coperte invece consistono nell’apertura di più posizioni contemporaneamente, sia sul titolo che sui derivati e, rispetto al critero seguito per combinarle, si distingue tra:

  coperture: combinano un’opzione con il sottostante in modo che si proteggano vicendevolmente;

  spreads: combinano opzioni dello stesso tipo, call o put, sullo stesso sottostante ma con diverse caratteristiche, alcune comprate e altre vendute;

  combinazioni: combinano opzioni diverse sia per tipologia che per caratteristiche, o tutte comprate o tutte vendute.

Coperture

Covered call writing

La strategia prevede la vendita di un’opzione call, generalmente OTM, detenendo il sottostante

Nella tabella seguente si evidenzia il relativo grafico per un caso particolare:

 

 

La linea continua rappresenta il payoff della strategia covered call writing. Praticamente una posizione short su una put. Tale strategia, se attuata da chi possiede il sottostante, permette di ridurre le perdite in caso di discesa del sottostante di un ammontare pari al premio incassato sulla call. A fronte di tale riduzione di rischio, i profitti sono limitati alla differenza tra K e S più il premio incassato. Se il sottostante supera lo strike siamo costretti a consegnare i titoli a K.

Chi è interessato a una tale strategia?

Innanzitutto, e come risuterà chiaro proseguendo nel corso, un venditore di opzioni auspica un mercato tendenzialmente piatto. Se si prevedesse un mercato in tendenza meglio comprarle le opzioni che, come visto nella prima parte, aprono possibilità illimitate di profitto se si indovina la direzione.

Tornando alla strategia, essa presuppone di detenere in portafoglio un titolo del quale non ci si vuole liberare (potrebbe anche essere il caso di un fondo che non se ne può liberare). Se si prevede un andamento laterale, a fronte di un profitto nullo (in media) sul titolo, si vende un’opzione che ci permette di guadagnare qualcosa in un certo range di prezzo. Nell’esempio si realizza comunque un profitto tra 9.5 e 11.5. Relativamente alla sola detenzione del titolo, abbiamo visto che in caso di discesa si perde sempre uno 0.5 in meno, ma ciò non toglie che sotto a 9.5 si perde! Sul versante rialzo, si nota subito che sopra a 11.5 era meglio tenere solo l’azione. La strategia può poi essere aggiustata dinamicamente in caso di discesa del sottostante ricomprando la call venduta (che avrà perso valore) e rivendendone una con strike più basso (sempre OTM) facendo incassare ancora qualcosa per coprire le perdite. In caso di salita del sottostante, o ci si accontenta del profitto massimo o si ricompra la call (più cara stavolta) per rivenderne una con strike più alto. Questa ultima ipotesi prevede però un ulteriore investimento per riaprirsi delle possibilità di profitto.

Un caso tipico adattato ai numeri sopra potrebbe essere il seguente.

Siamo lunghi sul titolo e dalle nostre analisi deduciamo che in area 10.5 si situa un’importante resistenza. Si potrebbe allora vendere una call con strike un po’ superiore. Si incassa subito qualcosa e se il titolo arriva alla resistenza si valuta se aggiustare la posizione. Considerando che la nostra strategia “vince” fino a 11.5, se viene respinto ovviamente teniamo, se rompe abbiamo spazio pari a 1 per riaggiustare e non perdersi l’eventuale rialzo. Questo 1 fa da “cuscinetto” per le false rotture. Generalmente si aspetta il pull-back e se la rottura è confermata si ricompra la call. Se, al contrario, il titolo scende, anche qui dipende molto dalle valutazioni personali: in prima battuta si può procedere “rollando” su strike più bassi, ma se si pensa che sia iniziato un trend al ribasso questo ci costringerebbe a riaggiustare continuamente dilapidando i profitti in commissioni e costi di spread; in questo caso ci sono strategie migliori.

Non possedendo il sottostante, lo stesso risultato si ottiene vendendo una put. Tale osservazione solo per far notare che decidere di impostare una strategia di covered call writing da zero, cioè acquistare il sottostante e contemporaneamente iniziando a vendere call, rispetto al vendere put ha la sola differenza di pagare due volte i costi.

Quello che fa della strategia covered call writing una strategia interessante è quindi la detenzione del titolo e una certa valutazione sulle prospettive future.

Per quanto riguarda la sola vendita di put nel caso precedente: se siamo vicini a una resistenza vendere put significa che se respinti la put si apprezza, se rompe non è ottimale e se fà una falsa rottura in genere poi scende mettendo in pericolo la posizione. Volendo adattarla ad un caso ove non si possiede il sottostante, la vendita di put diventa interessante sotto un importante supporto qualora si supponga debba tenere, o abbia tenuto.

Infine si noti la somiglianza della strategia con i reverse convertible. Per valutare la convenienza di tali strumenti, basta rifarsi a questo schema.

Protective put

La strategia protective put ad una posizione lunga sul sottostante associa una posizione lunga su una put, generalmente ATM.

 

 

Anche qui si nota il che il payoff combinato risulta essere quello di una posizione lunga su call. Tale strategia è attuata da chi non si vuole liberare del titolo e ne teme una discesa. Come si vede si limitano le perdite al premio della call “sintetica” e si lasciano aperte le possibilità di profitto. E’ una strategia tipicamente difensiva. Non si cerca il profitto in caso di discesa del titolo, solo a bilanciare le perdite, lasciandosi aperte le possibilità di profitto.

Reverse call hedge

La strategia prevede una posizione corta sul sottostante che può essere interpretato come una vendita allo scoperto piuttosto che liberarsi dei titoli e l’acquisto di una call. Proprio pensando alla posizione corta su titoli come alla vendita di quelli in portafoglio, tale strategia contribuisce a spiegare la precedente protective put.

Intanto la solita tabella di esempio

 

Come si vede subito, vendere il titolo e comprare una call corrisponde a comprare una put. Nelle stesse condizioni ipotizzate per la protective put, chi potesse liberarsi del titolo potrebbe farlo e contemporaneamente comprare una call. Seguirebbe comunque l’eventuale rialzo tutelandosi sul ribasso.

Reverse put hedge

Anche qui si ipotizza una posizione corta sul sottostante e una posizione corta su put.

La tabella relativa è:

 

Anche qui si nota che la strategia corrisponde alla vendita di call. L’analogia con la covered call writing è simile al caso precedente, con le distinzioni già discusse nella sezione relativa.

 

Prima di procedere a parlare di spreads, si rende necessaria una piccola precisazione su un aspetto delle tabelle che potrebbe a prima vista ingannare.

Nella stategia covered call writing, dai valori nella colonna Long S + Short call (il payoff combinato), deduciamo di avere in mano una put venduta ad un premio pari a 1.5. Il valore di una put risulta però essere 1.408, come è possibile?

Consideriamo anche il reverse put hedge. Dalla stessa analisi si deduce di avere in mano una call venduta a 0.41 mentre dovrebbe valere 0.5; altro dilemma?

In realtà no, ed è proprio la parità put-call ad aiutarci.

Nel primo caso la differenza tra la put “sintetica” e una put vera sta nell’investimento iniziale. Nella prima si deve comprare il sottostante, nella seconda no. Si noti che la parità può essere scritta come

S - C = Ke-r(T-t) - P

Tale somma viene investita al tasso senza rischio. Calcolando l’interesse ottenuto nel periodo sulla somma K si ha

K-Ke-r(T-t) = 11*(1-e-0.05*0.1666667) = 0.09 (circa).

Sommandola all’incasso della put vera venduta si ottiene proprio l’incasso “sintetico” di 1.5 ottenuto investendo sul sottostante invece che al tasso r.

Per la reverse put hedge il ragionamento è uguale, ma svolto al contrario: la call “sintetica” venduta implica l’incasso della vendita del sottostante che può essere piazzato al tasso senza rischio. La parità si può scrivere

C = P + S - Ke-r(T-t).

Aggiungendo a 0.41 l’interesse di 0.09 si ottiene proprio 0.5.

Gli altri due casi si risolvono allo stesso modo. Si noti però l’implicazione che nel reverse call hedge vendere il titolo per comprare la call obbliga a tenere l’eccedenza (incasso dalla vendita del titolo meno premio call) investita al tasso senza rischio. Ovvie considerazioni di opportunità ci faranno poi decidere se sia opportuno farlo o meno. Potersi liberare dei titoli e comprare la call potrebbe voler dire liberare liquidità per entrare magari su altri titoli più promettenti restando comunque esposti. Il problema è però che in caso di necessità di riaggiustare la posizione, ad esempio sulla rottura della resistenza, se abbiamo puntato su altri titoli potremmo non avere la liquidità per farlo; ecco perché deve essere tenuta al tasso senza rischio.

 

Infine si riporta cosa accade al payoff combinato qualora si modifichi il rapporto tra posizione sul sottostante rispetto alla posizione su opzioni.

Di seguito due tabelle dove in una strategia di covered call writing e protective put rispettivamente si vendono due call e si comprano due put.

 

Spreads

Come accennato, uno spread combina opzioni dello stesso tipo comprate e vendute. In base alle altre variabili di definiscono:

  spreads verticali: le opzioni hanno stessa scadenza e diversi strike price;

  spreads orizzontali: le opzioni hanno stesso strike e scadenza diversa;

  spreads diagonali: le opzioni differiscono sia per lo strike che per la scadenza (non saranno trattati).

Spreads verticali

Bull spreads

Viene creato acquistando un’opzione call con un certo strike price e vendendone una con strike superiore.Così facendo si incorre in un esborso al momento dell’apertura della posizione poiché la call con strike inferiore è ovviamente più cara; si parla di spread comprato (purchased).

La seguente tabella riporta un esempio

Lo stesso payoff a scadenza può essere costruito utilizzando opzioni put. In tal caso si vende put con strike alto e si compra put con strike basso. In tal caso (trascurando i margini) si incassa, quindi si parla di spread venduto (written).

 

La differenza tra le posizioni, sostanzialmente sono invertiti profitti e perdite massime, è come al solito dovuta al fatto che in un caso si investono fondi mentre nell’altro si incassa e si può investire al tasso senza rischio ottenendo la compensazione.

 

Anche solo guardando la figura si intuisce la chiara impostazione rialzista della strategia. Nel caso specifico si è preso uno strike ITM e uno OTM. Un’impostazione più aggressiva potrebbe consistere nel selezionare entrambi gli strike OTM; al contrario una più prudenziale consiste nelprendere entrambi gli strike ITM. Anche tale strategia può essere implementata dinamicamente. Supponiamo che come al solito siamo sotto una resistenza importante e siamo convinti che è la volta buona. Se non possediamo i titoli, potremmo entrare con una call: se ritraccia le perdite sono limitate e se effettivamente rompe partecipiamo al rialzo (è un po’ come mettersi uno stop-loss pagando il premio e mantenendo la liquidità). Se il sottostante prosegue il rialzo, una volta identificato l’obiettivo del movimento, arrivati in prossimità si può vendere la seconda call con strike più alto, ora ad un valore decisamente superiore. Resta da decidere lo strike: tutto dipende dall’atteggiamento personale. Una soluzione potrebbe essere di individuare il possibile ritracciamento e vendere quello strike. Verosimilmente sarà sempre superiore a quello della call comprata poiché stiamo ipotizzando di aver indovinato la direzione e visto che probabilmente sarà decisamente ITM, ci permetterà di incassare subito un profitto mantenendo forti probabilità di relizzarne un altro a scadenza (lo spread costruito “in corsa”) se il titolo non scende sotto al secondo strike. Con i dati sopra, supponiamo di individuare in 10 la resistenza e di avere comprato una call con strike 9 pagandola 1.4 (il fatto che sia ITM non è fondamentale, certo mai DOTM!).

La resistenza viene rotta e il titolo sale fino all’obiettivo di 13. Supponendo un ritracciamento di 0.5, l’obiettivo sarebbe 11.5. Vendiamo ora lo strike 11 che deve valere sicuramente più di 2 (il suo valore intrinseco), poniamo 2.3. Ci ritroviamo ad aver incassato 2.3 – 1.4 = 0.9 e con la possibilità di guadagnare altri 2 a scadenza (la differenza degli strike 11 – 9) se il titolo chiude sopra 11. Un aspetto fondamentale è che l’operazione è chiusa ed abbiamo a disposizione la liquidità. A questo punto se il titolo dovesse tornare sopra a 13 potremmo sempre seguire il movimento, magari ripetendo il tutto.

Ovviamente se sbagliamo la direzione del mercato che invece di essere al ralzoparte al ribasso, ci perdiamo, anche se un ammontare limitato.

Possedendo i titoli, sotto resistenza si sarebbe potuto mettere in atto un reverse call hedge. A seguito della rottura potremmo averlo trasformato in un bull spread ed aver già incamerato dei profitti.

Bear spread

Dopo i bull spread rimane poco da dire, sono la stessa cosa in ottica ribassista, interessanti in zone di supporto che si prevede verranno violate (o appena violate).

Se costruito con le put, si acquista lo strike alto e si vende quello basso investendo qualcosa (purchased); se costruito con le call si acquista lo strike alto e si vende lo strike basso incassando qualcosa (written).

Di seguito le due tabelle con i grafici.

Spreads orizzontali

Supponendo di lavorare con opzioni call, in genere si acquista l’opzione a lunga scadenza vendendo quella a breve; stesso strike. Tale strategia, considerato che l’opzione a scadenza maggiore è più cara, richiede un investimento iniziale. Supponendo

Consideriamo cosa potrebbe accadere alla prima scadenza. Se il sottostante chiude molto basso rispetto allo strike scelto, l’opzione venduta scade senza essere esercitata e ci rimane l’opzione acquistata ormai DOTM e vale quasi zero. Se chiudessimo la strategia avremmo perso quasi tutto l’investimento iniziale (salviamo il valore comunque maggiore di zero della call DOTM). Se il sottostante chiude molto alto rispetto allo strike scelto, l’opzione venduta viene esercitata e ci costa ST – K. Essendo DITM, la call acquistata vale poco più di ST – K. Ancora una volta perdiamo quasi tutto l’investimento iniziale. Se il sottostante finisce esattamente sullo strike scelto, l’opzione venduta continua ad avere valore e permette di realizzare profitti. L’importante quindi è calibrare bene la scelta dello strike su cui puntare la strategia.

La stessa cosa può essere realizzata con le put.

Se poi invertiamo le scadenze, ovvero compriamo scadenza breve per vendere scadenza lunga, parliamo di reverse. In tal caso si perde se il sottostante finisce vicino allo strike e si guadagna se finisce lontano, non importa se sopra o sotto.

Il payoff della strategia, non facile da costruire vista l’influenza del fattore temporale, risulta comunque simile allo spread seguente.

Butterfly spread

Si trattano opzioni con tre differenti strike. Usando come al solito le call (per le put è uguale): si compra lo strike inferiore, si vende due volte lo strike intermedio e si compra lo strike più alto.

La tabella seguente riporta il payoff (simile a quello di uno spread orizzontale)

Combinazioni

Si distingue tra:

*  Straddle: si acquistano call e put con stesso strike.

*  Strangle (vertical): si acquistano call e put con strike diversi.

Straddle

Supponiamo di acquistare contemporaneamente call e put sullo stesso strike. Il grafico a scadenza sarà:

Le implicazioni sono ovvie: si acquista volatilità intorno allo strike scelto. Si guadagna con ampi movimenti del sottostante in una qualsiasi direzione.

La strategia contraria, denominata Top Straddle, consiste semplicemente nel vendere entrambe le opzioni con un’aspettativa di bassa volatilità. Il grafico a scadenza è

Strips e Straps

Non sono altro che dei Bottom straddle asimmetrici. Negli Strips si acquistano due put contro l’acquisto di una call mentre negli straps il contrario.

Strangle

In un Bottom Strangle in genere si acquista una call con strike alto e una put con strike basso, tipicamente poco OTM. Il grafico è il seguente

Più interessante il Top Strangle, soprattutto in fasi laterali. Dopo aver identificato supporto e resistenza statica, si vende la call appena sopra la resistenza e si vende la put appena sotto il supporto. Il payoff è

 

 

Un primo approccio al pricing

Lo scopo delle prossime sezioni sarà di arrivare a comprendere non soltanto la formula che viene comunemente utilizzata per prezzare le opzioni, quanto soprattutto la logica con la quale viene ricavata. Risulteranno allora chiare le caratteristiche intrinseche di tali strumenti, si potrà giustificare l’impatto delle variabili del modello (già brevemente descritto in precedenza) e si impareranno le pricipali strategie di copertura.

Il modello binomiale di Cox-Ross-Rubinstein (1979).

Il modello monoperiodale

Introduciamo il concetto con un semplice esempio.

Oggi un generico titolo S quota 100 e tra un periodo potrà assumere solo due valori: Su=110 e Sd=91, posti per semplicità equiprobabili. Un’ipotetica opzione call che scade esattamente tra un periodo, con strike price K=100, potrebbe allora valere max(Su-K;0)=10 oppure max(Sd-K;0)=0. La situazione potrebbe essere rappresentata dalla seguente figura:

Supponiamo inoltre che il tasso di interesse periodale sia il 5%.

Potremmo allora costruire oggi un portafoglio costituito da titoli e bond nelle proporzioni rispettivamente Δ e B e il suo valore a scadenza può essere rappresentato come segue:

Potendo scegliere opportunamente le quantità Δ e B, una prima scelta ovvia è di chiedersi per quali valori tale protafoglio assume a scadenza lo stesso valore dell’opzione. In pratica si vuole risolvere il sistema

da cui si ottengono le soluzioni Δ=0.526315 e B=-45.614035 (il segno negativo significa prendere a prestito). Calcolando il costo di tale portafoglio oggi si avrebbe

100Δ+B=52.6316-45.614035=7.018.

Osservando che tale portafoglio a scadenza vale esattamente quanto l’opzione, per ovvie considerazioni di arbitraggio il costo oggi deve essere esattamente pari al premio dell’opzione.

Volendo generalizzare, si noti u il fattore di crescita del titolo e d=1/u il coefficiente in caso di diminuzione (porre d=1/u risulterà utile nell’analisi su più periodi). Nell’esempio precedente si è supposto u=1.1, cioè un tasso di crescita del 10%. Si avrebbe Su=uS e Sd=dS e il sistema si potrebbe scrivere

Equazione 1

Ottenendo come soluzioni

Equazione 2

Equazione 3

Il premio della call dovrà allora essere:

Equazione 4

Diverse caratteristiche di tale equazione meritano di essere sottolineate:

*  Seppur inverosimile, nella formula di valutazione non compare la probabilità assegnata a priori al rialzo piuttosto che al ribasso del sottostante. Ciò significa che due investitori che assegnino probabilità diverse al realizzarsi di Su e Sd, devono comunque concordare sul valore dell’opzione.

*  Ancora, tale valore non dipende dalle attitudini al rischio degli investitori.

*  Infine ponendo p= e notando che =1-p e 0<p<1 (soddisfa tutte le caratteristiche di una misura di probabilità), si può riscrivere , interpretando la somma tra parentesi come il valore atteso del payoff dell’opzione usando le probabilità p e 1-p. Il premio dell’opzione è quindi il valore atteso attualizzato (scontato al tasso senza rischio r) dei payoff del derivato. Inoltre, notando la probabilità soggettiva (caratteristica di ogni individuo) q, si supponga di ricercare per quale valore di q l’investitore sia neutro rispetto al rischio. Ovvero si vuole che il valore atteso di un ipotetico investimento nel titolo S sia equivalente al montatnte di un investimento al tasso senza rischio. In formule quS+(1-q)dS=(1+r)S da cui si ottiene q=p. La probabilità p prende allora il nome di probabilità neutra al rischio.

Riguardo all’ultimo punto, riprendendo i numeri dell’esempio precedente (u=1.1 e d=1/u=0.91), si avrebbe p=(1+0.05-0.91)/(1.1-0.91)=0.737 e questa è la probabilità (neutra al rischio) che l’opzione valga Cu=10 a scadenza. Calcolando il valore atteso del payoff si ha 0.737*10+0.263*0=7.37. Tale valore scontato ad oggi diventa 7.37/1.05=7.019 che, a meno di approssimazioni nei calcoli, coincide ovviamente con il valore trovato in precedenza.

In conclusione si possono ritenere due importanti concetti: l’esistenza di un mondo “neutro al rischio” che ci permette di fare calcoli in modo “oggettivo” per quanto riguarda le probabilità da utilizzare (comuni a tutti); la possibilità di “duplicare” sinteticamente l’opzione con una opportuna posizione in titoli e bonds.

Il modello su due periodi

L’estensione del modello su due periodi è abbastanza semplice dal punto di vista matematico grazie all’equazione 4 vista sopra. Inoltre, forti del concetto di portafoglio “duplicante”, risulterà anche intuitiva. Nel foglio seguente si riporta un ipotetico albero a due periodi usando i valori dell’esempio precedente dove il numero inferiore indica la probabilità di raggiungere il nodo (le caselle di testo indicano le formule in ogni cella).

Il valore terminale dell’opzione è facilmente determinato nei tre casi e di conseguenza il suo valore atteso sarà:

0.544785*21+0.386621*0+0.068594*0=11.44.

Per essere coerenti con l’equazione 4, tale valore deve essere scontato al tasso senza rischio; questa volta però per due periodi, quindi si ottiene

C=11.44/(1+r)2=11.44/1.052=10.376.

Lo stesso risultato poteva essere ottenuto in due passaggi cercando prima di determinare i valori dell’opzione nei due nodi in t=1 e successivamente usare questi due valori per calolare il premio C in t=0.

Supponiamo di essere nel nodo S=110. In tal caso i valori futuri possibili dell’opzione sarebbero 21 e 0 con probabilità p e 1-p, ovvero dovrà essere

Cu=(0.738095*21+0.261905*0)/1.05=14.7613.

Con un calcolo simile si ottiene Cd=0 (l’opzione varrà sempre 0 in t=2 se S=91 in t=1).

A questo punto

C=(pCu+(1-p)Cd)/(1+r)=(0.738095*14.7613+0.261905*0)/1.05=10.376.

 

Fin qui si sono visti due diversi modi di applicare l’eqazione 4: in un solo passaggio applicando la formula piuttosto che riapplicandola in ogni nodo. La caratteristica comune è di partire dal valore terminale. Ovviamente l’utilità pratica dell’equazione 4 si rivela nel primo metodo di applicazione, ma il secondo ha il pregio di potersi collegare al concetto di portafoglio duplicante ed alle considerazioni di arbitraggio che ci possono convincere della validità del metodo.

Seguendo l’approccio di procedere a ritroso valutando singolarmente i vari nodi ad ogni data, esso risulta equivalente a dover risolvere in ogni nodo un sistema del tipo in equazione 1. Ogni volta si ricaverebbero quindi delle quantità Δ di sottostante e B di bonds per formare il portafoglio duplicante in quel preciso caso. Nella tabella seguente si ripormmmmmmta l’albero precedente dove nei vari nodi sono riportati i valori di Δ, B (calcolati con le equazioni 2 e 3) e il valore del portafgolio duplicante SΔ+B (che nei nodi intermedi diventa il Cu e Cd da usare il passo successivo).

Come ci si poteva aspettare il portafoglio duplicante vale esattamente quanto il valore dell’opzione in ogni nodo.

Inoltre notiamo come la composizione del portafoglio duplicante vari nel tempo secondo i movimenti del sottostante. Ciò significa che per poter duplicare l’opzione in ogni periodo bisogna riaggiustare dinamicamente, ad ogni tempo t, la posizione in sottostante. L’esempio rappresenta un tipico caso della nota strategia di copertura detta delta hedging. Tale strategia verrà approfondita in seguito quando potremo interpretare meglio la quantità Δ dal punto di vista teorico e ne estenderemo il concetto ad un portafoglio in generale.

 

Supponiamo ora di osservare in t=0 una quotazione dell’opzione C=12. Come approfittare della situazione? Di seguito una semplice strategia di arbitraggio basata sul delta hedging.

1.      t=0: vendiamo la call a 12. Di questi ne usiamo 10.37685 per costruire un portafoglio con Δ=0.77 azioni. Tale portafoglio costerebbe 0.77*100=77; la differenza 77-10.37685=66.62315 la prendiamo a prestito. Avanzano sempre 12-10.37685=1.62315 che investiamo al tasso senza rischio.

2.      t=1

2.1.   S=91. Δ=0 quindi vendiamo i titoli in portafoglio al prezzo di mercato incassando 0.77*91=70.07. Il debito nel frattempo è diventato 66.62315*1.05=69.95 e lo rimborsiamo completamente con l’incasso della vendita dei titoli (la differenza può dipendere da approssimazioni nei calcoli). L’opzione vale 0 e ci resta l’avanzo investito al tasso senza rischio.

2.2.   S=110. Δ=1 quindi si devono acquistare 1-0.77=0.23 titoli al prezzo di mercato spendendo 0.23*110=25.3. La liquidità per pagarli viene presa a prestito che, sommando il debito precedente aumentato degli interessi, diventa 66.62315*1.05+25.3=95.2543.

3.      t=2

3.1.   S=82.727. Veniamo dal caso 2.1 e in portafoglio non abbiamo nulla. Ritiriamo il montante della somma depositata pari a 1.62315*1.052=1.789 che è il profitto di arbitraggio.

3.2.   S=100. Se arriviamo dal caso 2.1 vale il discorso precedente. Se arriviamo dal caso 2.2 allora vendiamo 1 titolo a 100 per ripagare il montante del debito che è pari a 95.2543*1.05=100.017 (ancora lo si rimborsa completamente a meno di arrotondamenti nei conti). L’opzione scade senza valore e di nuovo rimane il montante del versamento iniziale pari a 1.789.

3.3.   S=121. La call venduta viene esercitata e dobbiamo consegnare il titolo a 100. Con questi ripaghiamo il debito e rimaniamo con il solito profitto di arbitraggio di 1.789.

Estensione a più periodi: effetto tempo e effetto volatilità

Come al solito iniziamo con un esempio; ci limitiamo ad aggiungere due periodi a quello della sezione precedente. Nel foglio che segue i tre dati riportati ad ogni nodo sono rispettivamente:

1.      prezzo del sottostante;

2.      valore dell’opzione (valore terminale in t=4 e calcolato con l’equazione 4 alle date anteriori);

3.      in t=4 la probabilità neutra al rischio associata all’evento e il Δ (equazione 2) alle date anteriori.

La prima osservazione è che solo aumentando di due periodi la scadenza, il prezzo dell’opzione è quasi raddoppiato. La motivazione è semplice: aumentando il numero di periodi nel calcolo del valore atteso finale sono entrati due termini, uno positivo e l’altro pari a zero (anche se il sottostante scende molto l’opzione vale al minimo 0). Anche senza considerare variazioni di probabilità, è immediato accorgersi che “in media” si è aggiunto qualcosa. Per rendere più esplicita la cosa, nel foglio di esempio, con le frecce in grassetto si è evidenziato l’albero a due periodi della sezione precedente.

 

La seconda osservazione, riguardo all’effetto della volatilità è molto più facile da spiegare dopo aver provato a modificare il valore di u nel foglio precedente ottenendo i seguenti valori:

Si nota che un aumento di u, e quindi anche una diminuzione di d, ha provocato un allargamento del possibile range di valori del sottostante, facilmente interpretabile come un aumento della volatilità. Tale effetto si è ripercosso sui valori dell’opzione aumentandoli quando erano positivi, ma lasciandoli fissi a zero quando l’opzione scade out of the money. Ancora si può affermare che “in media” si aggiunge qualcosa al valore atteso giustificando un incremento del premio.

 

Entrambi gli effetti, sperimentati con le simulazioni, risultano oltremodo ovvi ricordando l’asimmetria del payoff di un’opzione (vedi capitolo sui concetti di base).

Estensione a più periodi: riduzione del passo

Una cosa che non era ancora stata specificata nella trattazione è l’ampiezza del periodo tra un tempo e l’altro. Supponiamo per semplicità che nei fogli precedenti tale periodo fosse pari a un bimestre e consideriamo T=1, ovvero

Potremmo ora pensare di ridurre l’orizzonte a 1 solo mese e otterremo in tal modo una biforcazione intermedia. Per non alterare i valori finali si rende necessario però ricalcolare u e r per renderli compatibili con il nuovo orizzonte temporale.

Volendo considerare poi un intervallo di quindici giorni si avrebbe:

Procedendo di questo passo si arriva al limite della trattazione continua dove le due diramazioni del binomiale possono essere viste come denaro e lettera. Dalla capitalizzazione composta si passa alla capitalizzazione continua (esponenziale) ed il fattore (1+r) diventa er.

 

 


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