Esistono
diversi modi di operare nel mercato azionario: col fiuto, sulla base di letture
di giornali e reports, con l’aiuto di “dritte” e “soffiate”, con
tecniche più metodiche.
Fiuto.
Esistono indubbiamente delle persone che riescono, con l’ausilio di un grosso
intuito, a fare cose eccezionali in Borsa. Il fiuto, tuttavia, è qualcosa di
innato. O lo si ha o non lo si ha. Quindi, non è una tecnica che si può
apprendere. C’è da aggiungere, però, che anche chi opera col fiuto (e mi
viene automaticamente da pensare ai vari Warren Buffet, Peter Lynch, George
Soros) non opera caoticamente sulla base di quello che gli passa per la mente,
ma si avvale comunque di tecniche operative al cui vaglio sottopone le proprie
intuizioni; basta leggere la letteratura su questi personaggi per rendersene
conto.
Letture
di giornali e reports.
Sorvolerei proprio sui giornali. Quando la notizia appare sulla stampa è già
vecchia e superata. Al massimo può far rumore ancora per un paio di giorni
grazie all’intervento dei ritardatari. Nulla di più.
Qualche
spunto maggiore lo offrono talvolta i reports delle istituzioni finanziarie più
serie. Intanto sono il frutto di valutazioni ponderate e poi, per loro natura,
vanno ad alimentare lo stesso processo che propongono. E’ probabile che un buy
di una grossa banca d’affari provochi degli acquisti che altrimenti non si
avrebbero. La controindicazione è che qualche volta i suggerimenti dei reports
possono non essere del tutto obiettivi o possono essere determinati forzatamente
da situazioni contingenti. Si pensi a una situazione di forte rialzo e alla
necessità per gli uffici studi delle istituzioni finanziarie di alzare i target
dei vari titoli prima ancora, e non dopo, di trovare una giustificazione agli
obiettivi di prezzo indicati.
Dritte e soffiate. Le soffiate, quelle vere, le possono dare solo gli insider, con gli effetti giuridici che la diffusione delle notizie provocherebbe. Non è escluso che grosse istituzioni finanziarie (Sim, Banche, Società di gestione) possano essere in possesso di notizie qualificate di qualche utilità. Ma allora la notizia si trova, diciamo, a metà strada tra la riservatezza e la diffusione. Il titolo interessato, con ogni probabilità, ha già cominciato a manifestare dei movimenti anomali che possono essere già stati colti con un’attenta analisi anche da chi non è in possesso della notizia. Anche questi casi, tuttavia, sono abbastanza limitati e nulla hanno a che vedere col fenomeno, del tutto dilettantesco, delle dritte che nel corso di forti rialzi di borsa vengono sparate da tutte le parti. Se chiunque di noi, in una fase di accentuata tendenza rialzista del mercato, spaccia per dritte le proprie opinioni su 10 titoli quotati è più che probabile che almeno in un paio di casi faccia un’eccellente figura.
Tecniche
operative.
La tecnica costituisce l’arma di chi vuole
operare razionalmente per conseguire profitti costanti non soggetti all’erraticità
dei mercati. Si rinuncia a degli extra-profitti connessi talvolta a un
atteggiamento disinvolto, ma si ha la quasi certezza di non incorrere nelle
catastrofi alle quali quello stesso atteggiamento prima o poi inevitabilmente
conduce. La tecnica, inoltre, non esclude necessariamente la possibilità di
beneficiare dei metodi più empirici prima elencati. Semmai, costituisce uno
strumento per sottoporli a un vaglio di verosimiglianza.
Nell’ambito delle tecniche operative si inserisce l’annosa, ma ormai pressoché universalmente definita, questione della competizione tra analisi tecnica e analisi fondamentale. E, come se non bastasse, ha fatto da qualche tempo apparizione tutta una serie di tecniche sperimentali ispirate all’intelligenza artificiale.
Analisi
fondamentale.
I fondamentalisti sostengono che, nel lungo andare, i corsi azionari tendono a
riflettere il reale valore delle società quotate; deducono quindi che,
individuando realtà attuali e potenzialità patrimoniali ed economiche di
queste società attraverso un’attenta lettura dei loro bilanci, si possono
formulare valide previsioni sui futuri livelli di prezzo delle azioni con grande
beneficio per una corretta strategia di investimento.
Analisi
tecnica.
L’analista tecnico non mira a conoscere il valore reale di un’azione bensì
quel valore che ad essa attribuirà, a breve, il mercato. Egli è infatti
convinto di poter rilevare, con l’ausilio di particolari procedure, le
speranze, le paure, gli umori, razionali e irrazionali, dei compratori e dei
venditori giungendo così a sintetizzare e fotografare, a un dato istante, tutti
quei fattori che normalmente sono ritenuti inquantificabili ma che, nondimeno,
incidono in maniera preponderante sul processo di formazione dei prezzi; gli
diventa più facile, a questo punto, decidere quando comprare e quando vendere e
cosa comprare e cosa vendere in perfetta sintonia con la tendenza e le
prospettive del momento.
Intelligenza
artificiale.
E’ una branca a sé stante. Più che una scuola di pensiero è un insieme di
tecniche che mirano a simulare il processo di ragionamento umano (sistemi
esperti e sistemi fuzzy), il funzionamento biologico del cervello (reti neurali)
o l’evoluzione delle specie viventi (algoritmi genetici). Prescinde, in sé,
dai principi del pensiero tecnico e di quello fondamentale in quanto si può
avvalere di elementi di uno solo di essi, di tutti e due o di altri ancora.
Non
c’è motivo di affrontare l’accademica questione, peraltro generalmente
superata, della competizione tra
scuola fondamentale e scuola tecnica. Entrambe hanno una propria ragione di
essere ed entrambe presentano delle caratteristiche che le rendono più
appropriate in certe circostanze con riferimento a obiettivi specifici.
L’analisi
fondamentale si propone di verificare la salute generale, per così dire, di un
titolo. E’ un check-up il cui fine non è quello di individuare l’esistenza
o la possibilità di insorgenza di un comune raffreddore. L’analisi tecnica,
al contrario, si orienta soprattutto verso i sintomi piuttosto che verso le
cause.
Si
pensi alle variazioni che i titoli quotati hanno in un breve periodo di tempo.
Forse un aumento o una diminuzione generalizzata delle quotazioni può indurre
automaticamente a ritenere che, contemporaneamente, sia realmente variato
l’effettivo valore delle società quotate? Viceversa, stabilito che i valori
fondamentali fanno prevedere una crescita economica e patrimoniale della società,
si può forse automaticamente ritenere che le quotazioni azionarie siano
destinate ad aumentare? Nel breve periodo ben altri elementi assumono
preponderanza: esistenza di un trend generale rialzista o ribassista, situazione
politica, influenza delle borse estere e chissà quant’altro.
In
sintesi, se nell’analisi fondamentale è prevalente l’aspetto previsionale,
nell’analisi tecnica è prevalente l’aspetto gestionale, la logica
dell’una non è la logica dell’altra, gli obiettivi dell’una non sono gli
obiettivi dell’altra.
Ognuna
delle due ha una sua ragion d’essere determinata dalle esigenze delle società
di gestione di fondi comuni o di altri investitori istituzionali e da quelle dei
traders più o meno sfrenati.
In
ogni caso, un’analisi di tipo fondamentale che faccia da sfondo alle scelte di
breve periodo non può che accrescere le probabilità di successo del trader.
Ugualmente, il ricorso all’analisi tecnica per la scelta del momento di
intervento non può che giovare a un investimento strategico da attuare sulla
base dei fondamentali.
Nessun
conflitto, fortunatamente, sussiste con le tecniche di intelligenza artificiale
che possiedono come denominatore comune la capacità di apprendere le regole, di
qualsiasi genere, che soggiacciono
a processi noti per applicarle a situazioni in corso di evoluzione.
Paradossalmente, il punto di forza delle tecniche di intelligenza artificiale è
allo stesso tempo un punto di debolezza. Se, infatti, il processo in evoluzione
non trova affinità, affinità e non uguaglianza, in uno dei processi che hanno
costituito la base dell’apprendimento, l’intelligenza artificiale è, con
molte probabilità, destinata a fallire.
E’
bene, in proposito, fare qualche precisazione.
L’interesse
primario dell’operatore di borsa non è quello di fare previsioni ma quello di
conseguire utili e, ancor prima, quello di preservare il capitale disponibile.
E’
abbastanza naturale che tutti noi, supportati dalle informazioni in nostro
possesso, ci cimentiamo continuamente, in misura più o meno consistente, a fare
previsioni sul futuro andamento della tendenza e sugli obiettivi di prezzo di
questo o quell’altro titolo.
Non
che questo sia sbagliato ma, si sa, il mercato raramente asseconda le
previsioni; le variabili che agiscono sono tali e tante che basta poco per
vanificare gli sforzi intrapresi in dipendenza della valutazioni personali.
In
questo, probabilmente, sono avvantaggiati i fondamentalisti che, nella loro
ottica di lungo periodo, mostrano propensione a non curarsi delle erraticità
correnti.
Chi
opera a breve invece, ha sì il vantaggio di potere approfittare anche delle
possibilità offerte da limitate escursioni delle quotazioni ma, di contro, ha
l’onere di stare dietro ai movimenti piuttosto che davanti. Per questo è
costretto ad accettare alcune condizioni:
Sono
regole non facili, anzi decisamente dure da seguire, ma può essere di aiuto il
pensiero che la Borsa è sempre lì ad aspettare e che una, due, mille occasioni
perdute non significano nulla finché facciamo utili sistematicamente.
Stabilito
quale deve essere l’atteggiamento mentale corretto, è possibile ora
schematizzare il processo logico che deve accompagnare l’operatività:
SISTEMI
DISCREZIONALI
Premessa
Una
corretta tecnica operativa presuppone la fissazione di regole ben precise per
l’individuazione del momento più appropriato per un intervento sul mercato,
sia in entrata che in uscita.
Infatti,
così come l’intervento iniziale viene normalmente subordinato al verificarsi
di certe situazioni generali di mercato o specifiche di un titolo (es.:
inversione di una tendenza, perforazione di determinati livelli di supporto o
resistenza), l’uscita da una posizione, oltre ad essere connessa a fattori
analoghi a quelli presi in considerazione per la sua assunzione, può anche
essere determinata dal raggiungimento di certi obiettivi di profitto o dal
conseguimento di una perdita massima prefissata.
Ora,
la verifica dell’esistenza di condizioni favorevoli a un intervento può
essere lasciata alla discrezionalità dell’operatore o può essere ancorata al
rigoroso rispetto delle condizioni prefissate: nel primo caso avremo dei sistemi
ragionati di intervento, nel secondo dei sistemi meccanici.
Per
la naturale tendenza dell’uomo a dare elasticità alle proprie opinioni,
l’impostazione di un sistema meccanico, o trading system, viene di solito
effettuata al computer che, con indiscutibile obiettività e precisione,
fornisce i propri segnali di acquisto o di vendita ai quali l’operatore si
attiene ben sapendo che questi segnali, non solo rispondono alle logiche
operative stabilite in precedenza, ma lo sollevano anche dallo stress connesso a
un momento decisionale fondato sulla discrezionalità.
Ed
è proprio quest’ultimo aspetto che, probabilmente, costituisce la
caratteristica principale dei trading systems i quali, di per sé, non danno
necessariamente luogo a un’operatività più redditizia di quella che può
essere messa in atto da un investitore capace e disciplinato.
Per
la loro particolarità, i trading systems verranno trattati nel prossimo
capitolo; in questo, invece, affronteremo le regole che devono essere osservate
da chi scende nell’arena dei mercati finanziari armato solo del proprio buon
senso.
Trend
di mercato
La
regola principale che sta alla base di una sana operatività è quella di
assecondare il trend generale del mercato. Salvo casi particolari, le operazioni
in controtendenza presentano dei rischi notevolmente maggiori di quelli ai quali
si va incontro con le operazioni in tendenza. Saremo, quindi, compratori di
titoli in un mercato al rialzo e punteremo al ribasso nel caso contrario.
Diversa
è la situazione di un mercato congestionato, un mercato, cioè, che si muove
lateralmente con andamento oscillatorio. E’ consentito, in questi casi, il
tentativo di anticipare i punti di svolta non dimenticando, però, che ciò che
può apparire come un prossimo punto di svolta può facilmente trasformarsi in
un punto di rottura del canale laterale.
E’
estremamente difficile riconoscere una fase direzionale da una di congestione se
non dopo che l’una o l’altra si sia già manifestata inequivocabilmente. E,
a questo punto, è elevato il rischio che la tendenza subisca un arresto o
inversione oppure che la fase di congestione abbia termine con l’avvio di una
direzionalità imprevista.
Gli
analisti tecnici si sono prodigati abbondantemente nel tentativo di costruire
degli indicatori in grado di distinguere le due situazioni in modo tempestivo e
con sufficiente chiarezza, ma i risultati sono stati abbastanza deludenti.
Proviamo,
comunque, a vedere come un operatore attento deve porsi nei confronti del
mercato al fine di individuarne la direzionalità e sfruttarne i movimenti.
Tendenza
definita
La
rappresentazione dei prezzi in un grafico che si snoda, verso l’alto o verso
il basso, con una buona angolazione è sicuramente l’evidenza migliore
dell’esistenza di una tendenza ben definita.
La
pendenza ideale, tuttavia, non deve essere né troppo né troppo poco ripida:
nel primo caso potrebbe essere indicativa di un particolare stato di euforia
pronto a trasformarsi in panico da un momento all’altro; nel secondo caso,
invece, potrebbe tradire l’esistenza di un diffuso senso di incertezza che fa
da sfondo alla spinta direzionale.
Occorre
tenere conto, poi, se la tendenza osservata si muove nella stessa direzione di
quella di più lungo periodo oppure costituisce semplicemente un movimento di
correzione.
Non
è che questi ultimi non siano utilizzabili operativamente; è solo che la presa
di coscienza del corretto significato del movimento esaminato deve condizionare
diversamente il tipo di intervento.
Se,
infatti, si coglie il momento di svolta verso l’alto di una tendenza di breve
discendente che rimbalza su una trendline di più lungo periodo, si effettua un
intervento più razionale di quello che può essere effettuato su un movimento
avulso da un contesto più generale.
L’esame
visivo del grafico può essere accompagnato dall’analisi di indicatori di tipo
algoritmico: un ROC che perfora una propria media mobile o la linea dello zero,
un Rsi che perfora il livello di 50, un MACD a istogrammi in ascesa o in discesa
o, ancor meglio, in ascesa sopra la linea dello zero o in discesa sotto la linea
dello zero, sono tutti segnali che possono convalidare le conclusioni dedotte
dell’esame del grafico.
Molto
efficace, sotto il profilo previsivo, viene ritenuta la presenza di divergenze
grafiche riscontrate su alcuni indicatori: ad esempio, l’andamento discendente
di un indicatore di momentum in presenza di un grafico di mercato ascendente,
segnala la perdita di forza della tendenza e, quindi, la possibilità di un
arresto o di una inversione.
Dispersiva
e controproducente appare invece l’analisi contemporanea di molti indicatori:
questi si presentano spesso in discordanza tra loro ingenerando incertezza e
confusione; meglio sceglierne pochi, quelli con i quali ci si trova maggiormente
a proprio agio e che, in passato, hanno dimostrato di funzionare frequentemente,
e solo su questi concentrare la propria attenzione.
Congestione
Abbiamo
detto che è meglio assecondare una tendenza di mercato piuttosto che
contrastarla. Il mercato, tuttavia, si trova in fase di tendenza molto meno
frequentemente di quanto si muova lateralmente.
In
quest’ultimo caso, non essendoci una tendenza da sfruttare, si può cercare di
operare sulle oscillazioni comprando sui minimi e vendendo sui massimi.
L’individuazione
dei punti di massimo e di minimo, cioè dei punti di svolta, non è delle più
agevoli. Tuttavia, verificata visivamente l’esistenza di un canale
orizzontale, si può supporre che le parallele di supporto e resistenza possano
continuare a respingere i movimenti e, su tale presupposto, si possono impostare
i propri interventi.
C’è,
ovviamente, il rischio che le quotazioni, anziché invertire la direzione di
marcia, perforino i livelli citati dando l’avvio a una nuova tendenza: come
nel caso della tendenza definita, però, anche lo studio delle zone di
congestione può essere accompagnato dell’esame di oscillatori che
segnaleranno, in prossimità dei presunti punti di svolta, se il movimento in
corso si sta rafforzando, facendo presagire un breakout, o si sta indebolendo,
convalidando così l’ipotesi della svolta. Analogamente, l’esistenza di
livelli di ipercomprato o di ipervenduto sugli oscillatori depone a favore di
una svolta delle quotazioni.
Insomma,
nulla di certo, come sempre, ma solo un insieme di indizi che, una volta
dimostratisi validi strumenti di valutazione sulla base dell’esperienza
personale, ci fanno ragionevolmente ritenere che anche nel futuro esplicheranno
analoga efficacia.
Oggetto
dell’investimento
Una
volta individuata la tipologia di intervento più adeguata al particolare
momento, qualora non si voglia o non si possa operare direttamente sugli indici
di mercato, è necessario scegliere i titoli sui quali orientare le proprie
scelte.
Anche
in questo, nulla deve essere lasciato al caso.
Non
appare logico il concetto di chi opera esclusivamente sui titoli ai quali è
affezionato, prescindendo dalla loro situazione del momento; è invece
necessario individuare quelli che presentano delle caratteristiche coerenti con
la situazione generale del mercato.
Se,
quindi, si opera in acquisto, si sceglieranno titoli il cui grafico evidenzia la
perforazione di un livello di resistenza, la formazione di una figura di
inversione al rialzo, o comunque l’esistenza di un trend rialzista confermato
dalla configurazione assunta dagli indicatori algoritmici. Il contrario,
naturalmente, se si opera al ribasso.
Questo
non è ancora sufficiente: per avere una certa sicurezza che il titolo non si
muova in maniera autonoma, è necessaria l’esistenza di un buon livello di
correlazione con l’intero mercato; e questo può essere verificato anche sulla
base del coefficiente beta che, come noto, misura l’attitudine del titolo a
muoversi in sintonia col mercato, amplificandone o contraendone le variazioni.
Non
è male, tra più candidati, privilegiare quelli che presentano una forza
relativa ascendente (rapporto tra quotazione del titolo e indice di mercato) e
quelli che hanno un coefficiente alfa positivo, in caso di acquisto, o negativo,
in caso di vendita.
Alla
fine, la rosa delle opzioni disponibili si sarà fortemente ristretta rendendo
quasi automatico l’orientamento dell’investitore.
I
concetti esposti, tuttavia, non vanno interpretati rigidamente, ma devono
servire solo come guida di riferimento per un intervento ragionato tenendo
presente che è sempre l’investitore, sulla base della propria esperienza, a
dover distinguere le circostanze nelle quali è più opportuno privilegiare
certi aspetti da quelle nelle quali occorre privilegiarne altri.
Uscita
La
scelta del momento di uscita dal mercato è altrettanto, e forse anche più,
importante dell’individuazione del momento di entrata.
Esiste
tutta una serie di detti del tipo “Compra ai minimi e vendi ai massimi”
oppure “Taglia le perdite e lascia correre i profitti”: in pratica, come si
fa a tradurre, sul piano pratico, queste affermazioni di principio? Una volta
assunta una posizione, sia essa rialzista che ribassista, quand’è che bisogna
abbandonarla, perché conseguito l’obiettivo di profitto o perché in perdita?
I
concetti relativi all’uscita dal mercato sono così importanti che meritano
una trattazione separata in apposito capitolo. Adesso si può anticipare che
l’azzeramento di una posizione non deve essere affatto un evento occasionale o
umorale; esso richiede un’attenzione forse anche maggiore di quella riservata
al momento dell’intervento originario. Se si è in perdita, bisogna avere la
forza di riconoscere l’errore e agire di conseguenza, anziché sperare in un
rovesciamento della tendenza che porti a un recupero; se si è in profitto
bisogna avere il buon senso di capire quando l’obiettivo è stato raggiunto
anziché lasciarsi sopraffare dall’avidità che, portando a sperare in una
amplificazione del movimento favorevole, induce a prolungare la propria presenza
sul mercato col rischio di perdere di colpo il guadagno non ancora monetizzato
o, peggio, di andare in perdita.
Conclusioni
Visto
che stiamo trattando di interventi discrezionali dell’operatore, vorremmo
elencare alcuni principi che, quali che siano le tecniche adottate, devono
ispirare la sua condotta:
TRADING
SYSTEMS
Premessa
Man
mano che, nel corso degli anni, l'analisi tecnica deludeva sempre di più, non
per mancanza di validità intrinseca, ma per la discutibile soggettività delle
sue risultanze, gli operatori cominciavano a sentire l'esigenza di introdurre un
elemento che sottraesse il più possibile le segnalazioni operative agli effetti
dell'emotività personale.
Dapprima
presero a parlare di autodisciplina, riferendosi a un'autoimposizione a seguire
le indicazioni dell'analisi tecnica, anche quando non convinti sotto il profilo
razionale, senza rendersi probabilmente conto che il problema restava ugualmente
senza soluzione: intanto con l'autodisciplina, comunque la si intendesse, non
veniva ancora risolta l'eterna questione del conflitto tra i vari indicatori;
inoltre, qualsiasi sforzo interiore l'analista facesse, continuava a non esserci
modo di svincolare l'operatività da grafici e calcoli soggetti a
interpretazione.
Con
la diffusione dei personal computers, però, si è scoperto che, trasformando in
algoritmo il processo valutativo, poteva
essere delegato alla macchina il compito di analizzare le informazioni
disponibili e di generare dei segnali operativi direttamente utilizzabili.
L'oggettività
veniva così assicurata e l'autodisciplina acquistava il senso dell'osservanza,
senza discussioni, del responso del computer; erano nati i trading systems.
Non
bisogna naturalmente equivocare: un trading system non presuppone
necessariamente un lavoro al computer; l’algoritmo può essere, nei casi più
semplici, sviluppato anche dall’operatore, ma è solo quando quest’ultimo
non interferisce in alcuna maniera nell’elaborazione dei fattori decisionali
che può essere assicurata l’obiettività di valutazione necessaria per fare
la differenza tra un sistema meccanico e uno discrezionale.
Principi
di base
Nei
trading systems vengono fondamentalmente forniti al computer tre tipi di
informazioni:
*
una serie storica di quotazioni;
*
dei parametri da utilizzare per il calcolo degli indicatori prescelti;
*
delle regole da utilizzare per la generazione dei segnali operativi.
Benché,
a rigore, sia sufficiente la predisposizione di un solo indicatore, i trading
systems sono di solito programmati per la elaborazione congiunta di più strumenti di analisi tecnica; il problema della eventuale conflittualità tra le risultanze
viene risolto con il ricorso a un algoritmo di calcolo che produce segnalazioni
di acquisto o di vendita solo nei casi in cui queste siano compatibili con tutte
le regole prefissate.
Progettazione
La
realizzazione di un trading system passa attraverso una serie di fasi.
Intanto
la progettazione. Un'intuizione, una lettura, un'emulazione fanno talvolta
scattare la convinzione che, combinando opportunamente certe tecniche di
analisi, si possa aumentare la frequenza dei successi.
Non
è esattamente così, non almeno in assoluto. Anzitutto il trading system deve
essere progettato con specifico riferimento alle caratteristiche intrinseche di
un mercato o di un indice o di un titolo, alla frequenza connessa al tipo di
attività, alla strategia che si intende adottare. Anche il grado di
predisposizione al rischio da parte dell'operatore costituisce fattore
fondamentale da prendere in considerazione, perché da esso dipende lo spessore
dei filtri che il sistema deve superare prima di produrre i suoi segnali.
La
progettazione richiede, poi, un'oculata scelta degli indicatori sulla cui azione
congiunta dovrà basarsi l'elaborazione. Dovranno essere quindi scelti degli
strumenti che siano in grado non solo di rilevare con sufficiente
approssimazione l'esistenza di una tendenza o di una fase di congestione, ma
anche di rapportare alle varie situazioni di mercato le segnalazioni operative.
Dovrà,
infine, essere pianificato un equilibrato criterio di gestione delle uscite dal
mercato sia in caso di guadagno che in caso di perdita.(1)
Insomma,
prima di procedere alla realizzazione di un trading system o, ancor più, al suo utilizzo operativo, è necessario ricercare con
estrema attenzione l'esistenza della massima compatibilità tra il prodotto e le
proprie strategie di investimento.
Realizzazione
L'idea
progettuale prende corpo con la identificazione degli indicatori e dei parametri
di massima che devono essere utilizzati dal programma computerizzato di analisi
tecnica per la generazione dei segnali operativi.
Anche
se la progettazione è stata accurata, è comunque necessario porre estrema
attenzione a non mettere in piedi un modello in grado di funzionare ottimamente,
in sede di simulazione, su un determinato andamento storico, ma privo di
qualsiasi capacità di valutazione del presente.
E'
facile, infatti, ed avviene solitamente quando si usano troppi indicatori oppure
indicatori fortemente correlati l'uno all'altro, arrivare attraverso successivi
aggiustamenti alla realizzazione di un sistema capace di produrre utili favolosi
nella sperimentazione su dati passati, ma del tutto inidoneo a cogliere le
dinamiche di mercato o, come comunemente si dice, a generalizzare.
In
ogni caso, per quanta attenzione si possa dedicare alla costruzione del sistema,
non esiste alcuna garanzia che un modello che ha funzionato in passato possa
continuare a funzionare in futuro; è tuttavia molto difficile, al contrario,
che un modello inefficace in fase di simulazione possa poi funzionare bene nella
realtà operativa.
Ottimizzazione
E'
sicuramente la fase più delicata.
Consiste
nell'aggiustamento dei parametri, successivamente alla loro fissazione su valori
di massima, per renderli idonei a raggiungere contemporaneamente il duplice
scopo di massimizzare i profitti e di dimostrare efficienza su tutto il periodo
di simulazione.
Occorre
quindi procedere sperimentando le varie possibilità fino all'individuazione di
quella che produce i migliori risultati.
E'
intuibile che più numerosi sono i parametri da ottimizzare, più lungo è il
processo di aggiustamento; bastano pochi valori, da provare in tutte le
combinazioni possibili, per rendere interminabile questa fase, anche con l'uso
di un computer potente.
Per
poter confidare, poi, nelle capacità di generalizzazione del sistema, cioè
nella sua attitudine a funzionare nell'operatività reale, è necessario che
esso venga provato, con risultati soddisfacenti, su più intervalli temporali
che riflettano condizioni di mercato differenti; da respingere senza esitazione
quei modelli sulla base dei quali vengono conseguiti utili favolosi i quali, a
un'attenta analisi, si rivelano dovuti a ben precise situazioni di mercato di
natura eccezionale.
In
proposito, è abbastanza diffuso un convincimento insidioso il cui vizio di
fondo, evidentemente, sfugge a molti. In pratica, si prova un modello su un
determinato periodo di tempo (training) e, quando i risultati sono
soddisfacenti, lo si riprova su un diverso periodo (testing). Se l’esito è
positivo anche questa volta il modello viene adottato, altrimenti si ricomincia
daccapo. Ora, la ripetuta ricerca di parametri che soddisfino anche
l’intervallo di test significa che quest’ultimo, in effetti, non diventa
altro che un prolungamento del
periodo di training o, in altri termini, che il vero test può essere effettuato
solo con l’applicazione pratica del modello.
Una
buona via d’uscita può essere trovata, come detto più sopra, nella
suddivisione dell’intero periodo in più intervalli temporali (3 o 4) e nella
ricerca di risultati soddisfacenti in ognuno di essi tenendo presente che, in
presenza di più soluzioni apparentemente simili, va privilegiata quella che
garantisce maggiore stabilità di risultati, quella cioè che consegue una
maggiore omogeneità nella distribuzione dei profitti su tutti i periodi presi
in esame.
E'
necessario verificare, in fase di ottimizzazione, che la frequenza delle
operazioni sia adeguata al tipo di attività che il modello è chiamato a
disciplinare e che esista un rapporto favorevole tra numero di operazioni in
utile e numero di operazioni in perdita e tra utile medio e perdita media per
operazione, tenuto conto dell'entità delle commissioni operative.
Da non sottovalutare, ovviamente, il fenomeno per il quale al trading
system viene richiesto di produrre segnali su quotazioni che, al momento poi
dell'intervento operativo, per quanto tempestivo, non sono più attuali.
Errato
il concetto, per la verità piuttosto diffuso, relativo all'esigenza di una
riottimizzazione frequente del trading system.
Infatti,
o il modello ha la capacità di generalizzare, cioè di cogliere aspetti diversi
del mercato, e in tal caso possiede già delle caratteristiche di
autoadattamento, oppure è stato male progettato.
Non
esistono alternative. Se l'operatore avverte l'esigenza di monitorarne
frequentemente l'adeguatezza, vuol dire che i risultati non sono soddisfacenti.
In tal caso è probabilmente meglio rivedere l'intera struttura piuttosto che i parametri.
Esempio
Nell'esempio
che segue non possono essere rigorosamente rispettati tutti i principi sopra
esposti in quanto:
*
manca il presupposto fondamentale della definizione di una strategia operativa;
*
non si conoscono i costi relativi all'attività che scaturisce dai segnali del
trading system.
La
dimostrazione, tuttavia, pur non prefiggendosi alcun obiettivo operativo,
propone un modello che può essere agevolmente integrato o modificato nella sua
struttura per essere adattato a diversi tipi di esigenze.
L’oggetto
della sperimentazione è l'indice Comit,(2)
del quale è disponibile una lunga serie storica, e si suppone che l'intervento
venga effettuato sul valore di chiusura del giorno successivo a quello di
generazione del segnale. Il modello, pertanto, tiene già conto delle
divergenze, prima evidenziate, che possono esistere tra il livello della
quotazione al momento della generazione del segnale e quello dell'epoca di
intervento.
Gli
strumenti di analisi tecnica prescelti sono il rate of change (ROC), per la
rilevazione della velocità
della tendenza, e il relative strength index (RSI), per l'individuazione delle
situazioni di maggior forza del mercato, corrispondenti a un livello posto in
prossimità della zona di ipercomprato; non esiste alcuna valida
controindicazione al fatto che si tratta di due indicatori di momento fortemente
correlati tra loro, visto che la struttura dell’uno è completamente diversa
da quella dell’altro.
L'adozione
di parametri piuttosto lenti fa emergere un sistema non molto aggressivo ma
solido, con segnali di acquisto in presenza di un mercato fortemente orientato
al rialzo e segnali di azzeramento delle posizioni in caso di indebolimento
della tendenza.
Fissato
un livello abbastanza elevato dell'RSI, il sistema genera, infatti, un segnale
di acquisto non appena il valore dell'indicatore o di una sua media mobile viene
a trovarsi sopra tale livello e,
contemporaneamente, il valore del ROC viene a trovarsi in posizione superiore a
quello di una sua media mobile; genera, invece, un segnale di vendita quando il
valore del ROC perfora al ribasso la sua media mobile.
Per
la definizione esatta di ciascun parametro, viene fissato un minimo ed un
massimo lasciando al programma di ottimizzazione l'incombenza di provare
iterativamente tutte le combinazioni possibili e di scegliere quella che
massimizza il profitto.
Le
sole condizioni poste, dopo aver suddiviso il periodo di ottimizzazione (dall'01.06.1990 al
28.06.1996) in tre intervalli di uguale lunghezza, prevedono il
conseguimento di utili in ciascuno di essi e una distribuzione la più equa
possibile. La suddivisione in più intervalli soddisfa pienamente la necessità,
generalmente avvertita, di provare il trading system su un periodo e di
verificarlo su un altro al fine di misurarne l’efficacia, come già detto
sopra, in condizioni di mercato differenti.
Il
programma realizza il massimo profitto proponendo l'adozione dei seguenti valori
limite:
*
media mobile a 2 giorni dell'RSI su base di 14 giorni rapportata al valore di
74;
*
ROC a 13 giorni riferito alla sua media mobile a 56 giorni.
L'utile
conseguibile, complessivamente del 107,85% su base 1000 (a fronte di un indice
rimasto complessivamente invariato) con 22 operazioni di acquisto e altrettante
di vendita, risulta così suddiviso(3)
:
-
01.06.90/26.06.92 - 508 sedute di Borsa: +10,69% su base 1000 (buy and hold:
-38,06%)
-
29.06.92/24.06.94 - 507 sedute di Borsa: +59% su base 1106,90 (buy and hold:
+51,28%)
-
27.06.94/28.06.96 - 507 sedute di Borsa: +18,10% su base 1759,96 (buy and hold:
-5,87%)
Tenuto
conto che il sistema è stato progettato per la sola gestione di posizioni
lunghe nell'ambito di tendenze al rialzo e che la liquidità risulta impegnata
solo per poco più del 21%
dell'intero periodo (330 giorni su 1522), i risultati possono essere considerati
ampiamente soddisfacenti.
Nella
figura che segue si può rilevare chiaramente come il grafico dell'andamento dei
profitti cumulati (equity line), sovrapposto a quello dell'indice Comit, formi
regolarmente dei gradini in salita in occasione dei rialzi di mercato e si
stabilizzi in occasione dei ribassi.
Nel
periodo 01.07.96 - 30.06.97, non incluso nel training,
il sistema suindicato avrebbe conseguito un utile dell’11,13% a fronte
di un aumento dell’indice del 26,94%, con un impegno della liquidità per 67
giorni su 250.
Nel
periodo 01.07.97 - 26.06.98, infine, il profitto sarebbe stato del 45,98% a fronte
di un incremento dell’indice del 70,64% e un impegno della liquidità per 90
giorni su 250.
Conclusioni
Non
abbiamo la pretesa di aver trattato adeguatamente l’ampia problematica
connessa alla costruzione di un trading system: non era questo lo scopo. Ci
prefiggevamo, invece, di dare indicazioni di larga massima, da approfondire
eventualmente su pubblicazioni specializzate, in merito alla possibilità di
progettare dei sistemi meccanici idonei a sostituire proficuamente l’operatore
nella individuazione dei momenti appropriati per un intervento sul mercato.
Aggiungiamo,
in chiusura, che i trading systems più evoluti non si limitano alla generazione
di segnali sulla sola base dell'elaborazione di alcuni indicatori con parametri
statici, così come fatto nell’esempio, ma incorporano fattori di adattamento
che imprimono una tempestività di segnalazione variabile in funzione della
volatilità corrente.
NOTE (1) I concetti relativi alla scelta del momento di uscita dal mercato in funzione dei guadagni conseguiti o delle perdite subite formeranno oggetto di trattazione specifica in un capitolo a parte. (2) Trattandosi di esempio didattico, non ha alcuna importanza il fatto che l’indice Comit non sia direttamente negoziabile. (3) Se non fosse stata tenuta presente l’esigenza di una buona distribuzione dell’utile tra i vari periodi, sarebbe stato possibile ottenere risultati ancora migliori.
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GESTIONE
DEL RISCHIO
Premessa
Supponiamo
di assumere una posizione che, secondo tutte le evidenze, non può che rivelarsi
vincente. Eppure, per motivi inspiegabili, il mercato comincia a muoversi
inesorabilmente nella direzione contraria a quella auspicata: non c’è nulla,
proprio nulla, che possa giustificare questo movimento avverso e, proprio per
questo, siamo sicuri che in due o tre giorni lo scenario tornerà ad essere
quello previsto.
I
giorni passano, la tendenza non si inverte, le perdite si amplificano, e noi
continuiamo a tenere la posizione per due motivi: l’inversione, ormai, non può
più tardare, e le perdite, sulla carta, sembrano meno dolorose di quelle reali.
Alla
fine, stanchi e frustrati, decidiamo di porre termine a questa sofferenza
prolungata e azzeriamo la posizione rendendoci così conto che non esiste alcuna
differenza tra perdite reali e perdite sulla carta.
Ed
ecco che, esattamente un minuto dopo che siamo usciti dal mercato, la tendenza
si inverte lasciandoci non solo perdenti, ma anche beffati.
C’è
qualcuno di noi che non si è trovato in questa situazione? Ho il sospetto che
nessuno abbia titolo per farsi avanti.
Queste
situazioni sono inevitabili, il mercato va dove deve andare, a prescindere da
quelle che sono le nostre certezze; l’unica arma che abbiamo è quella di
assecondarlo, abbandonandolo immediatamente non appena ci rendiamo conto che ci
siamo sbagliati nella nostra valutazione e restando invece aggrappati alla
tendenza finché questa si muove nella direzione sulla quale abbiamo scommesso.
Questo
atteggiamento comporta, necessariamente, la disponibilità all’assunzione di
tantissime piccole perdite, ma porta con sé anche la capacità di trarre grossi
profitti dalle operazioni corrette.
Gli
strumenti che abbiamo a disposizione per la gestione dei momenti di uscita da
una posizione prendono il nome di stop loss e trailing stop.
Stop
loss
Lo
stop loss è un livello di prezzo che definisce la perdita massima che siamo
disposti a sopportare nel momento in cui assumiamo una posizione.
Quindi,
lo stop loss si pone a un livello più basso di quello di entrata in una
posizione lunga e a un livello più alto di quello di entrata in una posizione
corta.
Esistono
due tipi fondamentali di stop loss.
Il
primo è strettamente correlato a una percentuale del capitale investito,
percentuale che non deve essere troppo elevata se si vogliono realmente
contenere le perdite. Infatti, normalmente si vede subito se l’operazione sta
andando per il verso giusto; e altrettanto presto si capisce se l’intervento
è sbagliato. Perciò una percentuale del 2%, del 3%, massimo del 4% è più che
sufficiente per contenere la perdita. E’ da tenere in conto, peraltro, una
ulteriore piccola perdita, non quantificabile, dovuta al fatto che, poiché
stiamo parlando di tendenza contraria a quella auspicata, con tutta probabilità
il prezzo al quale chiuderemo l’operazione sarà ancora più svantaggioso di
quello fissato come limite a causa del tempo intercorrente tra la perforazione
dello stop loss e il momento dell’effettivo intervento operativo.
Una
avvertenza: la percentuale da adottare per la fissazione dello stop loss non può,
di volta in volta, non tenere conto della volatilità del mercato o del titolo
al fine di non essere superata al primo movimento fisiologico avverso; quindi,
percentuale più contenuta in presenza di bassa volatilità e margine più largo
in presenza di volatilità elevata.
Il
secondo tipo di stop loss ha poco a che vedere con le percentuali, anche se
resta sempre valido il principio che la perdita massima teorica deve essere
contenuta. Quando l’intervento sul mercato viene effettuato sulla base della
presenza di determinati supporti o resistenze, è solo a questi ultimi che va
ancorato il momento di uscita dal mercato. Supponendo, ad esempio, di effettuare
un acquisto al momento delle perforazione di un livello di resistenza, lo stop
loss verrà fissato immediatamente sotto la stessa resistenza, trasformatasi in
supporto, al fine di cautelarsi contro le false perforazioni. Così, ancora ad
esempio, se si effettua un acquisto, nell’ambito di una tendenza rialzista,
quando i prezzi ripiegano temporaneamente verso la trendline, lo stop loss verrà
fissato immediatamente sotto la trendline per cautelarsi contro una inversione
di tendenza immediatamente successiva al nostro acquisto. Si noterà come, in
entrambi i casi, abbiamo suggerito di fissare lo stop loss non in coincidenza,
ma sotto la resistenza o la trendline; è infatti opportuno assegnare un certo
margine anche alle false perforazioni in senso contrario, al fine di non uscire
prematuramente dalla posizione a causa del fisiologico rumore del mercato che,
dopo un iniziale movimento avverso, è pronto a riprendere la direzione
auspicata.
Qualche
autore sostiene che è inopportuno fissare degli stop loss nell’ambito di un
trading system. Infatti, un sistema ben congegnato dovrebbe contenere in sé i
meccanismi, dovuti alla dinamica degli indicatori adottati, che determinano sia
i momenti di entrata che quelli di uscita. La fissazione di stop loss, pertanto,
potrebbe forzare l’azzeramento di una posizione che il sistema, invece,
suggerirebbe di mantenere. Questo può anche essere vero in alcuni casi, ma non
è valido sotto il profilo logico. Un trading system, per definizione, è un
sistema che ha funzionato bene in passato, su una serie storica nota, ma non si
sa se funzionerà altrettanto bene in futuro, su una serie ignota; lo si spera
ma non lo si sa. A nostro avviso, quindi, è bene cautelarsi anche contro il
cattivo funzionamento del trading system, magari con una percentuale di
tolleranza superiore a quella abituale, senza lasciare la posizione esposta al
rischio di un rilevante movimento avverso non colto tempestivamente.
Trailing
Stop
Il
trailing stop non è altro che uno stop loss mobile che serve a fissare i
profitti man mano che questi vengono conseguiti grazie a un mercato che si muove
nella direzione auspicata.
Supponiamo,
ad esempio, di aver effettuato l’acquisto di un titolo la cui quotazione
comincia immediatamente a salire. Quand’è che dobbiamo vendere il titolo e
monetizzare i profitti? Fino a che punto conviene rischiare nel caso di
temporanee correzioni nell’ambito del trend rialzista del titolo?
Se,
fissato inizialmente lo stop loss, cominciamo ad alzare sistematicamente la
barriera ad ogni rialzo del titolo, ecco che avremo sempre un limite di
riferimento al disotto del quale il titolo va venduto.
Attenzione,
però! Una volta portato a un livello superiore, per accompagnare un rialzo del
titolo, lo stop loss non può più essere riportato indietro, altrimenti la sua
funzione verrebbe vanificata.
Naturalmente,
il discorso va invertito nel caso di operazioni ribassiste che, pertanto,
richiedono uno stop loss da abbassare sistematicamente con divieto assoluto di
riposizionamento verso l’alto.
I
criteri per la fissazione del trailing stop sono analoghi a quelli esaminati per
gli stop loss: una percentuale fissa, una percentuale variabile in funzione
della volatilità, una soglia mobile definita da un trendline; l’importante è
che il criterio fissato all’origine non venga variato per soddisfare la
maggiore tolleranza dell’operatore di fronte a un’operazione che si sta
rivelando proficua.
Profit
target
Un
ulteriore criterio di uscita dal mercato, diverso dai precedenti, consiste nella
fissazione di un obiettivo di prezzo raggiunto il quale si chiude la posizione.
Questo non esclude la contemporanea definizione di uno stop loss, ma serve a
stabilire sin dall’inizio il livello di prezzo al quale si intende uscire da
un mercato che si muove nella direzione voluta.
La
fissazione di un profit target, quindi, può essere utile in un mercato molto
volatile, al fine di beneficiare delle oscillazioni favorevoli cautelandosi
contro quelle avverse, oppure per le operazioni effettuate nell’ambito di un
canale di trading, con obiettivo in prossimità della parallela superiore, in
caso di operazione lunga, o inferiore, in caso di operazione corta.
Conclusioni
La
fissazione di limiti di prezzo è l’arma principale di chi vuole operare in
borsa con successo. La consapevolezza di non essere in grado di trovarsi sempre
dalla parte giusta del mercato porta automaticamente a cautelarsi contro gli
errori con sistemi idonei a salvaguardare il capitale disponibile da erosioni
non tollerabili.
Si
può senz’altro asserire che, quand’anche il numero delle operazioni errate
fosse ampiamente superiore al numero delle operazioni corrette, una attenta
gestione del momento di uscita dal mercato sarebbe in grado ugualmente di
condurre alla realizzazione di profitti.
Ne
consegue che, al limite, il momento e la direzione dell’ingresso possono
essere assunti anche casualmente: una buona gestione del rischio, portando a
minimizzare le perdite e a massimizzare i profitti, non può che riuscire
complessivamente vantaggiosa.
Gestione del rischio, però, significa anche monitoraggio costante delle posizioni assunte e corretta contabilizzazione degli utili e delle perdite. Solo la costante attenzione all’evoluzione dei prezzi può portare a identificare tempestivamente il momento più opportuno per l’azzeramento di una posizione. Un ritardo anche lieve nell’applicazione dei principi operativi definiti al momento della sua assunzione può condurre a perdite ben superiori a quelle preventivate e, quindi, alla vanificazione di tutto un ciclo di operazioni altrimenti bene impostate. Ogni operazione, infatti, non fa storia a sé. L’attività di un determinato periodo di tempo (un mese, un trimestre, un anno) include tutta una serie di operazioni, alcune vincenti e altre perdenti, il cui insieme, ed esso solo, può costituire parametro di riferimento per stabilire la validità della strategia adottata.
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